Limoncello
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LIMONCELLO, IL LIQUORE MADE IN ITALY SPEZZA LE CATENE

Non più solo un fine pasto al sapore di detersivo: riconoscibile e apprezzato dai mercati internazionali e i produttori auspicano l’IG

Da oltre trent’anni domina la scena italiana tra i liquori di agrumi, avendo oscurato gli altri prodotti tradizionali nella categoria (cedro, mandarino, arance, pompia), che ormai rappresentano piccole produzioni di nicchia. Eppure il limoncello ha vissuto fasi alterne.

Nato come prodotto artigianale, nel tempo oltre a conquistare il fine pasto all’italiana accanto all’amaro, alla grappa e pure al liquore alla liquirizia, il limoncello è diventato un best seller in gdo con conseguente lotta al ribasso sui prezzi che ha portato anche ad una progressiva diminuzione del livello qualitativo medio dei prodotti.

Il processo di banalizzazione del consumo è stato rafforzato dalla tendenza ad offrirlo come “cicchetto” omaggio sul conto in pizzeria o in trattoria, distogliendo dal liquore la scelta consapevole.

Eppure qualcosa (forse) sta cambiando e da un lato i produttori mostrano maggiore consapevolezza del valore rappresentativo del limoncello, soprattutto sui mercati internazionali, dall’altro l’utilizzo in miscelazione – principalmente nel semplice e fresco “limoncello spritz” – ne hanno fatto un prodotto facile da approcciare e in fondo giovane e spigliato. E se i dati IRI indicano una crescita per la categoria liquori al limone in Italia del 7% ad aprile 2023, la vera opportunità sta nel canale horeca.


Il limoncello di Pallini
Il limoncello di Pallini

Limoncello, una new wave poco italiana

È dunque plausibile parlare di una “new wave” per il limoncello?

«Sicuramente stiamo assistendo ad un nuovo interesse verso il segmento – conferma Micaela Pallini, oggi alla guida dell’azienda che porta il nome di famigliaperché sia i consumatori che i bartender sembrano aver scoperto le potenzialità del prodotto nei drink, primo tra tutti lo spritz al limoncello che già è molto presente nei mercati nordici e ora finalmente sta prendendo piede anche in Italia».

A fronte di una posizione consolidata in Italia, secondo Nuccio Caffo, alla guida del gruppo di famiglia, la new wave si percepisce più a livello internazionale. «Oggi il limoncello è diventato simbolo del made in Italy insieme a sambuca e amaretto, quindi tra i liquori più richiesti fuori dai confini nazionali. Seguono gli amari italiani che stanno iniziando ora ad affacciarsi di più sui mercati esteri, prima presidiati solamente dagli aperitivi oltre che dai liquori dolci».

Forti di una posizione di leadership di categoria (in gdo) con Limoncé – nato nel 1983 e oggi in produzione con oltre un milione di litri all’anno, generando 17 milioni di euro di ricavi – dal Gruppo Stock confermano un trend nuovo. «Limoncè è stato tra i primi limoncelli distribuiti all’estero – riferisce la brand manager Francesca ZecchiAttualmente, la modalità di consumo più diffusa è dopo i pasti, servito ghiacciato in un bicchierino, rinfrescante e digestivo. Tuttavia recentemente abbiamo notato un considerevole aumento dei consumi nei drink, con bartender, chef, gestori di beach bar e pub che propongono Limoncè Spritz o Limoncè tonic. Il nostro obiettivo è ampliare il sorso, proponendolo come una bevanda moderna, iconica, fresca e beverina».

In quest’ottica un discorso diverso vale per l’area tradizionalmente legata alla produzione del limoncello. «È storia del nostro territorio e lo continuerà ad essere per sempre – rimarca Federica Guarino dell’Hotel Villa Marina a Capri – come il caffè a Napoli, non ha un trend e non è soggetto ad alcun cambiamento di tendenza».


L'infusione durante la produzione di un liquore agli agrumi (photo credits Caffo)
L’infusione durante la produzione di un liquore agli agrumi (photo credits Caffo)

Il limoncello oltre la banalità, con la mixology

Eppure troppo spesso il liquore tradizionale a base di limone viene banalizzato come “cicchetto” offerto dopo il pasto. E se dall’isola dei faraglioni Guarino sottolinea come questo sia espressione di “ospitalità”, per cui «se vieni a casa nostra, vivi un’esperienza enogastronomica di livello e sarai così soddisfatto di averla vissuta che, a fine pasto, richiedere un limoncello sarà un must», d’altro canto in giro per la penisola c’è il rischio di “dequalificare” l’assaggio del liquore al limone. «Dinamica molto difficile da smontare – ammette Palliniin generale questo è un approccio che svilisce i prodotti offerti: dal fantomatico “prosecchino” di benvenuto al liquore a fine pasto, l’unico modo di combatterlo è con l’educazione. Se devi chiudere una cena offrendo un prodotto (che è comunque considerato nel conto), perché far alzare un cliente con un cattivo sapore in bocca? Anche il liquore di fine pasto è parte dell’esperienza offerta ad un cliente».

Per Zecchi la soluzione è semplice: «offrire un cocktail in abbinata ai piatti. Il Limoncello è di per sé un drink molto beverino, il suo gusto dolce e acidulo si abbina facilmente». Anche per Caffo, alla guida dell’azienda di famiglia, la risposta arriva dall’estero, perché la tendenza è chiara, «dall’Olanda alla Germania agli Stati Uniti, si sta utilizzando molto il limoncello nei cocktail. In particolare sta funzionando il limoncello spritz, che penso avrà successo anche in Italia nei prossimi anni».

Il traino dell’export è infatti importante: per Stock oggi vale circa il 10%, ma con un’ottica di espansione entro il 2027 molto più ampia. «È però essenziale la difesa del prodotto autenticamente italiano – osserva Palliniperché purtroppo la denominazione non è protetta e troppo spesso si trovano negli altri paesi Limoncelli prodotti localmente che richiamano l’Italia». Le aziende strutturate riescono a gestire l’impatto globale e con buoni risultati. «Noi vendiamo più limoncello all’estero che in Italia – rilancia Caffosemplicemente perché in Italia c’è una guerra tra poveri che spinge i prezzi al ribasso e non vogliamo partecipare. Preferiamo piuttosto offrire sul mercato domestico prodotti alternativi come il liquore Clementino della piana alle clementine di Calabria, il Bergamia al bergamotto, il Gran Cedro della Riviera o il Solara alle arance dolci e amare».

Una risposta alternativa viene anche dai piccoli produttori che fanno del limoncello una base da cui partire per innovare. «Noi produciamo limocannella (limoncello alla cannella) da vent’anni e da sempre i nostri prodotti craft vivono nella new wave», rimarca Paolo Basolo del liquorificio spiritoso Piolo & Max a Trieste. E sottolinea come il Limoncello, assieme all’amaretto e agli amari siano «vere e proprie bandiere di italianità».


Limoncello Spritz (immagine di rawpixel.com su Freepik)
Limoncello Spritz (immagine di rawpixel.com su Freepik)

Focus sulla qualità

Nel confronto qualità vs quantità, non c’è partita. «Noi in Italia abbiamo sempre limitato le quantità di limoncello, pur essendo strutturati e ubicati in località di grande produzione di limoni – specifica Nuccio CaffoQuesto perché non abbiamo voluto abbassare la qualità per seguire l’andamento dei prezzi del mercato. Penso che anche per questo prodotto valga il “bere meno, ma bere meglio” come filosofia». E sulla stessa linea Micaela Pallini sottolinea come «nel promuovere il consumo responsabile dei prodotti alcolici diventa un tema dominante. Nella categoria Limoncello c’è ancora molto da fare soprattutto nel fuori casa, perché occorre cambiare la mentalità ai nostri clienti (ristoratori e bartender), perché il consumatore lo sta iniziando a capire».

«Qualità e tradizione già esistono, innovazione e creatività gustosa molto meno – ironizza Basolopiù facile farsi produrre un private label a buon prezzo da un fabbricone e raccontare che i limoni provengono dal giardino di tua nonna…».

Verso un marchio Ig?

Quali sono dunque le prospettive per l’universo limoncello? «È una categoria destinata a durare nel tempo – replica Caffoche ancora deve esprimere pienamente il suo potenziale all’estero, ma che ha tutte le caratteristiche per trasmettere l’identità italiana. Servono però regole chiare e che proteggano la produzione italiana di qualità. In Spagna hanno iniziato a produrre limoncello (con lo stesso nome), questa purtroppo è la conseguenza di una mancata regolamentazione sulla denominazione di un prodotto che andrebbe protetto, magari con una Ig (Indicazione geografica). Su questo devono lavorare associazioni di categoria e produttori, ragionando sul medio/lungo periodo. È un segmento in cui non ci sono brand forti dominanti, quindi c’è possibilità di crescita per tutti i produttori italiani».

Le prospettive sono interessanti. Secondo Pallini «si tratta di far capire la differenza tra un prodotto di qualità e uno dozzinale, tra un prodotto veramente italiano e una copia. Purtroppo nel segmento liquori le denominazioni Igp non sembrano funzionare come in altri del settore alimentare, pertanto bisogna lavorare sulla qualità e sull’educazione dei consumatori».

L’immagine di copertina è di master1305 su Freepik

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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