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VILLA DE VARDA, NASCE IL WHISKY TRENTINO A FILIERA CORTISSIMA

Dalla storica distilleria di grappa trentina arriva il primo whisky al 100% made in Italy, dal campo al bicchiere

Sono tempi aspri per il made in Italy. Da un lato le contrazioni dell’export dovute alla congiuntura economica e all’inflazione sui prezzi dei trasporti. Dall’altro le minacce che arrivano dalla concorrenza non sempre leale di mercati inclini alla mistificazione delle denominazioni, tipo il “Parmesan cheese” del Wisconsin. Infine, l’ultima insidia, quella più velenosa: ovvero la tendenza a giudicare superficialmente ogni difesa della filiera nazionale come una sorta di ritorno all’autarchia di mussoliniana memoria, in un cortocircuito per cui la “sovranità alimentare”, da sempre portata avanti con convinzione – tra gli altri – anche da Slow Food, viene oggi dipinta come una pratica ottusamente retrograda e reazionaria. Rendendo quindi difficile portare avanti battaglie sacrosante in difesa di quanto orgogliosamente prodotto nel nostro Paese. 

WHISKY AUTOCTONO

In questo contesto, ogni novità che si fregia di essere “100% italiana” viene accolta da un mix di interesse e sospetto. In noi, che nella testata riportiamo l’aggettivo “autoctono”, non possono che vincere l’interesse e la curiosità, e dunque con grande piacere abbiamo assistito alla presentazione, organizzata nella sede Eataly di Milano e moderata dallo scrittore esperto di distillati Fulvio Piccinino, di una nuova iniziativa tesa a valorizzare le eccellenze del territorio: il lancio di un’edizione limitata di whisky italiano con l’etichetta del colosso della distribuzione alimentare fondato da Oscar Farinetti. 


Mauro Dolzan nei campi in quota

La storia ha inizio e si dipana nella Piana Rotaliana, a Mezzolombardo, regno del vino Teroldego. Qui, 170 anni fa, Romedio Dolzan – discendente della nobile famiglia di proprietari terrieri de Varda – iniziò a distillare, in un territorio tradizionalmente vocato alla produzione di grappa, tanto che sul finire degli anni ’60 si contavano una trentina di alambicchi. E infatti per sei generazioni vinacce, caldaie e barili sono stati di casa qui, consentendo ai Dolzan di creare un marchio – Villa de Varda – custode di un metodo di produzione specifico e sinonimo di grappa di assoluta qualità. 

Se la grappa è la storia della famiglia, lo è altrettanto la terra che circonda la distilleria. Una terra generosa, che ospita boschi di legname pregiato e campi ad alta quota ideali per la coltivazione dei cereali. Ed è girovagando per questi paradisi del Trentino Alto Adige che qualche anno fa Ronald Zwartepoorte, direttore del magazine olandese Whisky Passion e professionista nel mondo degli spiriti, ha avuto l’idea di coinvolgere la famiglia Dolzan nel progetto di un whisky di montagna, chiamato «InQuota». 

Quello di Villa de Varda non è il primo whisky italiano, nato nel 2010 nella non lontana Val Venosta per iniziativa di Puni, a Glorenza. Non è neppure il primo single malt, l’«eRetico» creato da Psenner nell’ancor più vicina Termeno.


Whisky

L’Italia del whisky, oltre 20 etichette nei prossimi anni

L’Italia si prepara – e bene – all’arrivo del whisky autoctono


DALLA SEGALE, IL WHISKY

Ma detiene un altro record: una delle etichette è il primo whisky di segale italiano al 100%, «e per di più a filiera corta», come spiegato in apertura da Andrea Cipolloni, nuovo ceo di Eataly. Logico dunque che il gruppo, da sempre attento ai concetti di italianità ed esclusività, guardasse con attenzione a un prodotto unico nel suo genere. 

Mauro e Michele Dolzan, figli del cavalier Luigi che tiene le redini della distilleria, spiegano cosa ha reso il loro distillato così particolare, tanto da suscitare cinque anni fa l’attenzione di Eataly: «L’idea di produrre whisky è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Inizialmente ci sembrava un sacrilegio, dopo quasi due secoli di grappa. Papà ci disse: “Il nonno viene su dalla tomba e ci toglie il cognome”. Poi però abbiamo pensato alle coltivazioni di cereali locali, all’acqua purissima che utilizziamo, al particolare sbalzo termico tra estate e inverno e ci siamo decisi a provarci». Quindi hanno «parcheggiato la storia per un attimo» e sono saliti sul progetto nuovo: hanno incaricato un coltivatore di seminare orzo e segale a circa mille metri di altitudine ed è partita l’avventura. 

«Quando nostro padre nel 1951 decise di buttare il vecchio alambicco perché voleva produrre una grappa più gentile e raffinata, da degustare con calma e che fosse piacevole anche per palati femminili, lo presero per pazzo”, proseguono i fratelli Dolzan. Eppure quell’impianto nuovo con un alambicco a bagnomaria e le caldaiette, nato per cesellare distillati più delicati, ora è il punto di forza di una distilleria già presente in 30 mercati e che oggi ha nel whisky «uno strumento in più per farsi notare». 


Le quattro referenze di whisky Villa de Varda

Le referenze

Il core range del whisky «InQuota» è composto da 4 referenze. Le prime due, la “base” dell’offerta di Villa de Varda, sono il «Mountain rye whisky» (43.2%, 85 euro) e il «Dolomiti spruce cask finish» (47.6%, 80 euro). Sono le due “ricette” che Eataly ha scelto per un’edizione limitatissima in cofanetto di legno: 432 bottiglie per ognuna delle due referenze, che saranno in vendita sugli scaffali nelle prossime settimane a 85 euro per il rye e a 100 euro per il Dolomiti. Il primo è un whisky di segale, cereale indigeno delle vallate alpine, che invecchia 6 anni in botti di rovere nuove. Una bevuta morbidissima, in cui le note del distillato, pera rossa, spezie e un tocco balsamico, si mescolano a quelle del barile, ovvero vaniglia, frutta secca e miele di castagno. Un distillato autunnale, in cui l’influsso vellutato del legno forse sovrasta un po’ troppo la particolare piccantezza della segale.

Il secondo è un single malt di solo orzo, invecchiato tre anni e mezzo, che compie un affinamento in particolari botti di abete rosso della Val di Fiemme, quello utilizzato dai più famosi liutai della scuola di Stradivari, per intenderci. Un distillato giovane, meno avvolgente e più diretto ed alcolico, con il malto protagonista. Il barile dona guizzi particolari lievemente balsamici, con sentori di fieno, resina e zenzero. Molto originale e senz’altro autentico, anche se meno “facile” del primo. 


I campi di orzo per il whisky Villa de Varda

Chiudono la gamma – che sarà parimenti distribuita da Eataly – due altri imbottigliamenti, entrambi single malt ed entrambi affinati in botti particolari: uno in barili ex Amarone (44.2%, 70 euro) e uno in barili ex Passito di Pantelleria (43.3%, 70 euro). «Abbiamo voluto puntare sulla trasparenza massima – spiegano i due fratelli Dolzan -: in etichetta riportiamo le date di semina del cereale, di raccolto, di distillazione e di imbottigliamento». D’altronde l’attenzione si nota anche da altri dettagli. Innanzitutto i cereali, che vengono coltivati ognuno nella vallata più climaticamente adatta. E poi dalla scelta controcorrente di non filtrare a freddo il prodotto, per lasciarlo il più naturale possibile. Solo un passaggio della produzione non è curato da Villa de Varda in prima persona, ovvero il maltaggio del cereale, che comunque avviene in Italia. 

«Al momento dei primi contatti, quattro anni fa – conclude Enrico Panero, che per Eataly è responsabile del progetto – abbiamo subito capito le potenzialità di Villa de Varda: cereali coltivati e fermentati in loco, l’unicum del whisky italiano a km zero. E siccome Eataly è il capofila della filiera corta, ci abbiamo creduto da subito». Telefonate, riunioni, ma anche visite in distilleria, dove oggi al whisky lavorano una decina di persone: «Quando ho visto una persona del team Eataly svegliarsi alle 4 per vedere l’alba sulle nostre montagne – ricorda Michele -, ho capito la loro passione». 

Basteranno la passione e la filiera corta a decretare il successo del primo whisky di montagna italiano? Chissà. Senz’altro il coraggio non è mancato e le basi tecniche e organolettiche ci sono. L’artigianalità e il tempo faranno il resto.  

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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