Beppe Vessicchio cover
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BEPPE VESSICCHIO, L’EMOZIONE DEL SUONO DELLA TERRA

Il musicista racconta (e si racconta) a Spirito Autoctono, spiegando il suo costante impegno per riuscire ad intervenire sulla materia attraverso l’armonia del suono

– di Francesco Bruno Fadda pubblicato su S.A.M n° 1 –
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Dialogare con la materia attraverso il suono. Che è materia impalpabile (per i poeti, ma anche per gli scienziati che di fisica si occupano). Intervenire negli stati della materia attraverso le note, esattamente come queste fanno con l’animo umano, rendendolo più sereno – o più energico -, che invece è fatto della stessa sostanza dei sogni.

È su questo che da anni lavora, come musicista e come uomo estremamente curioso, Giuseppe Vessicchio, in arte Beppe (o Peppe), è uno dei personaggi pubblici più noti e amati d’Italia. Sicuramente il volto a cui tutti pensano, nel nostro Paese, quando si parla di direttore d’orchestra. Un lavoro, quello sull’incidenza del suono sulla materia, che lo impegna sotto molti fronti.

QUESTIONE DI SPERIMENTAZIONI

Parte e passa dalle sperimentazioni sull’acqua che sta portando avanti al laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso (“stiamo per dimostrare che una polifonia con determinate condizioni armoniche può penetrare l’acqua con più facilità”), ma approda anche nelle trasposizioni pratiche – e relativi studi – sull’agricoltura e sulla viticoltura. Musikè, la sua linea di vini armonicamente modificati, nasce proprio così.


Il maestro Beppe Vessicchio (© Stefania D’Alessandro – Gettyimages.com)

Maestro, che differenza c’è, tra le sperimentazioni in laboratorio e il lavoro che fa su vino e distillati?

«Nel secondo e terzo caso a volte lavoro anche con la musica suonata, con apporto umano, mentre negli esperimenti scientifici devo usare un suono prodotto da un computer. Note e frequenze che qualsiasi altro ricercatore può riprodurre, anche dall’altra parte del mondo».

Lei ha iniziato a studiare l’effetto della musica sui pomodori, poi è passato al vino. Recentemente ha lavorato con alcune aziende di distillati, è corretto?

«Assolutamente si. Lo scorso anno a Vinitaly, proprio grazie a voi ho conosciuto le Distillerie Berta. Loro già lavorano con musica e colori. Quest’anno ho poi incontrato il master blender di Montenegro, Antonio Zattoni, e lì è scattato qualcosa. Il rapporto tra il legno e il brandy è particolare e apre a tante strade. Zattoni era incredulo rispetto ai risultati ottenuti con alcuni esperimenti in azienda e stiamo pensando di produrre un’etichetta speciale, legata proprio al mio lavoro sull’armonia».

Anche i suoi vini della linea Musikè nascono da esperimenti sull’armonia. Ma hanno anche un fine socialmente armonico, è corretto?

«Da anni oramai i proventi, per ora contenuti, delle vendite della mia linea di vino vengono devoluti a giovani studenti. Con i miei collaboratori abbiamo creato delle borse di studio che vanno ad aiutare musicisti di talento, che hanno bisogno di essere supportati. Soprattutto in un mondo come quello della musica contemporanea, dove l’enorme velocità dei mezzi spesso penalizza chi ha fatto dello studio e della conoscenza, che richiedono tempi lunghi, la base del suo lavoro».

Lei ha sempre lavorato come musicista – dopo un passato lontano e poco conosciuto come membro di un’importante trio comico napoletano -, cosa l’ha avvicinata al vino?

«A parte la sacralità della sua essenza, il vino è un simbolo dell’operosità dell’uomo in relazione alla generosità della natura: l’uva è uva, per diventare vino ha bisogno di amore. Quello tra il vino e l’uomo è un rapporto di piacere che è divenuto anche un nutrimento; ho le mie idee – e lo dimostrano anche alcune ricerche – riguardo il rapporto che abbiamo sviluppato da sempre con tutto ciò che è alcolico. Anche le scimmie preferivano i frutti che avevano subito un processo di macerazione, producendo alcol».

Qual è il rapporto tra musica e vino, a livello culturale?

«Il musicista, come il vino, è il prodotto dell’ambiente in cui viene immerso. È inoltre un rapporto reciproco: sono tante e tali le volte che viene citato il vino nelle opere musicali che non si può ignorare lo sguardo reciproco tra le due realtà, che riescono a rispecchiarsi».

E il rapporto tra musica e spiriti?

«Si somigliano molto. In questo caso andiamo all’essenza, quella del distillato, un organismo complesso che in poche gocce riassume il racconto del tutto. Questo è bello perché anche dal punto di vista musicale è come dire che nel brevismo esiste la straordinaria capacità di raccontare l’universo. Un qualcosa di gigantesco».

Un distillato può essere paragonato a qualche musica o suono in particolare?

«Il distillato, se lo valutiamo nella realtà di ciò che rappresenta e delle attenzioni che gli vengono dedicate, ci fa pensare a una ricerca operosa e complessa. Lo lego a quei musicisti che si dedicavano all’azione polifonica, dove le voci e le parole si intrecciano in un’arte sopraffina di pensiero e di logica e se sposti una nota devi spostare l’intera composizione. Un legame che non puoi districare, differentemente da quanto accade durante la composizione di una canzone, per quanto bellissima».

È corretto pensare che i suoi studi possono impattare sui distillati più che sul vino?

«È possibile. Nel distillato, vedere cosa riesce a fare l’effetto vibratorio coerente ( cioè l’impatto di determinati suoni, ndr) è più immediato, perché le quattro figure che rappresentano quel distillato si muovono, cambiano posizione. Sono sempre loro ma con altra prospettiva, e vedi una parte del viso che non vedevi prima. Così come il movimento di un corpo che era coperto da un’auto. È intrigante».

Possiamo chiudere questa chiacchierata dicendo che l’unica differenza tra suono, vino e distillati è che della musica si può abbondare?

«Certamente, anzi, la musica è l’unica cosa di cui non si può fare a meno. Non a caso ci sono alcuni studi che spiegano come la terra sia l’unico pianeta che ha il suono. Come esseri umani, inoltre, siamo l’unica specie che non si limita a utilizzare il suono per comunicare, ma lo rende un’arte. Mi piace il fatto che la musica partecipi di ogni cosa che noi facciamo, anche quando parliamo. Noi facciamo un esercizio di musica costante, anche quando non ne siamo consapevoli, ci distingue gli uni dagli altri. Ecco perché ce n’è in abbondanza e continuerà ad esserci: è uno dei linguaggi principali con cui comunichiamo le nostre emozioni».

«Eppure, arriva sempre questo momento, l’ultimo istante di silenzio, quello in cui ci siamo solo noi. Io, l’orchestra e la musica”. Beppe Vessicchio da “La musica fa crescere i pomodori».

(Foto di copertina: © Francesco Ascanio Pepe)

Sardo per nascita, italiano per convinzione, battitore libero per natura. Giornalista e gastronomo, autore, ghost writer, avvocato mancato (per fortuna!) e cuoco mancato (ma c’è sempre tempo!). Vivo e “divoro” il mondo per passione prima che per professione. Quattro i punti deboli: le donne che bevono whisky, i cani, la Mamma e i “Paccheri alla Vittorio”. Poche cose mi irritano come “Gioco di consistenze”, rivisitazione, texture e splendida cornice! Un sogno nel cassetto: vedere “enogastronomia ” quale materia di studio nella scuola dell’obbligo… chissà, magari un giorno!

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