Amaro cover
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#ABBASSOGLIZUCCHERI: PER UN AMARO DI NOME E DI FATTO

Perché l’amaro “haddaesse” amaro, altrimenti chiamatelo dolce

Sì, negli amari ci va lo zucchero. Sì, serve, non è un vezzo. Sì, se in macerazione ci infiliamo piante, radici e cortecce il risultato sugar free è una cicuta semi-imbevibile. E fin qui siamo più o meno tutti d’accordo, anche se a dire il vero certe cicute non sono da disprezzare, dato che si abbinano perfettamente alle asprezze dell’esistenza. Epperò così non si può andare avanti. Lo dicono i dentisti che vedono fiorire carie a ogni ammazzacaffè, ma soprattutto lo dice il popolo degli appassionati degli amari, che si trovano sempre più spesso nel bicchiere degli sciroppi di glucosio dai vaghi sentori balsamici. 

Il disciplinare consente di aggiungere alla ricetta degli amari fino a 100 grammi di zucchero per litro, pari al 10% (per il rum è 20 grammi!). Oltre, si parla di liquori. Quindi, va da sé che tutte le grandi marche rispettano i limiti. Il problema è che nonostante siano in regola, sono comunque insopportabilmente, innegabilmente e inopinatamente dolci. Non faremo nomi, né cognomi, ma dall’amaro col gusto pieno della vita all’amaro che è stato sposato con la Hunziker, dall’amaro col sapore vero a quello che rima con un uccello dal becco molto grosso, fino a quello spettacolare ghiacciato, sono tutte delle caramelle liquide. E va bene che le note amaricanti devono essere bilanciate, ma qui siamo di fronte a un annientamento. Con la scusa della bevibilità si snatura un prodotto talmente a fondo da cancellargli il carattere che gli dà il nome: l’amaro appunto. 



Ora, chi scrive pensa che gli unici amari veri siano quelli “punitivi”, come direbbe Natalino Balasso in un suo sketch. Sono gli amari fondamentalisti, quelli più severi di Torquemada, quelli che appena vedi la bottiglia il tuo apparato digerente pigro si mette subito in moto per la paura. Ma questa è una posizione estrema e di nicchia, insostenibile economicamente per i produttori.

Per cui ben vengano anche gli amari più abboccati in cui lo zucchero fa la sua parte. Ma a una condizione: che sia secondario. Che se ne stia in disparte, lasciando la scena ad assenzi e genziane, rabarbari e allori, carciofi e galanghe. Riportiamo lo zucchero al suo ruolo di comparsa, utile ma sullo sfondo. Altrimenti, invece che del “Rinascimento italiano dell’amaro”, limitatevi a parlare di “Rinascimento diabetico” e ci vediamo tutti dal dentista. 

Formazione scientifica, professione artistica, passione alcolica. Il cognome tradisce le radici lombardo-venete che, se scrivi di spiriti, sono un plus. Collabora con diverse testate e qualche testata la rifila pure, ma rigorosamente solo al pallone.

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