Aaron Diaz
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A LIMA PER UN DRINK CON AARON DIAZ

Quattro chiacchiere con il patron del bar peruviano Carnaval, 44° nella World’s 50 Best Bars

Lima, Perù, non visitare il bancone più rappresentativo del paese, il Carnaval, un delitto. È il Bar capofila della miscelazione peruviana che ricopre la posizione 44 nella World 50 Best Bars ed è stato nel 2020 Best International Cocktail Bar per Tails of a Cocktail. L’esperienza si fonda sulla festa, la musica e ovviamente i buoni cocktail creati con una miscelazione innovativa e di ricerca. Arrivati nel distretto di San Isidro, abbiamo trascorso un pomeriggio con il suo creatore Aaron Diaz, il patron bartender di vecchia data che dopo aver lavorato in giro per il mondo, ha deciso di riportare tutta la cultura appresa nella sua Lima, riuscendo a portare la mixology peruviana sul grande palcoscenico.

Qual è l’attuale scena coctelera limeña?

«La mia famiglia viene da una città del Sud del Perù dove si mangia molto bene e che si chiama Arequipa. Mia nonna mi insegnò a cucinare quando ero piccolo, iniziai a lavorare in cucina e nel frattempo è nato l’amore per il bar. Mi sono detto, voglio imparare a fare i cocktail, per me questo mondo va oltre l’alcool, è un’arte, è la mia passione. Credo che sia il mezzo attraverso il quale posso lasciarmi andare e con cui posso esprimere quello che mi piace usando la creatività. Credo che l’Africa, dove ho vissuto e lavorato, non mi abbia lasciato conoscenze pratiche però mi ha dato la forza di riuscire a sentire cosa vuol dire vivere, stare da solo, imparare, perdersi, mangiare e fare propri i diversi tipi di sapori. A Chicago, invece, mi sono formato come bartender. L’idea di “Carnaval” è nata dieci anni fa, il giorno che ho pensato di aprire questo bar ho pensato: Carnaval non deve essere un locale nuovo, deve avere un design vecchio, antico. Il pavimento è consumato, il tetto non è mai stato finito. Doveva sembrare un locale che c’era da sempre».


L’interno del Carnaval

Veniamo alla dimensione bar, alla sua genesi e al suo stato attuale, alla sua evoluzione.

«Credo che oggi, dopo la pandemia, il mondo dei cocktail in Perù si sia sviluppato molto rapidamente. Si è capito che ci sono importanti opportunità in questo ambito. Penso che negli ultimi venti anni la cucina peruviana sia cresciuta molto e che abbia sempre cercato di rispecchiare l’autenticità della nostra terra. Questo ha trascinato con sé un pò anche la cocteleria peruviana, per esempio il mondo del pisco e quindi l’utilizzo di prodotti locali. La scena dei bar è cresciuta abbastanza velocemente, ognuno con un suo concept ben chiaro e potente che, a breve, avrà risonanza internazionale»

Qual è la forza della proposta dei bar peruviani?

«Penso che ci siano diversi punti di forza: poter contare sul pisco come distillato di punta insieme ad altre bevande alcoliche molto ben prodotte, sugli ingredienti freschi e vicini, nonché sulla loro abbondanza, poter contare su materie prime provenienti dalla costa, dalle montagne e dalla giungla, e poi sulla creatività latina tutta».

Cosa cerca il pubblico peruviano in un bar? Qual è la tendenza?

«Cerca una buona atmosfera, buoni cocktail, buoni prezzi (sempre), mai come oggi viene apprezzata la creatività, qualunque trend odierno “gira intorno” alla creazione di qualcosa di nuovo, all’effetto stupefacente».


Lo staff del Carnaval

Esiste una mixology di livello soltanto a Lima o anche in altre zone del paese?

«I cocktail sono sempre stati più forti a Lima, inizialmente a causa della vasta gamma di ristoranti che avevano alle spalle grandi chef e quindi buoni bar. Il decentramento è sempre stato cercato, oggi non ci sono molte offerte in altre grandi città ma è un lavoro quotidiano quello di cambiare il pensiero di un cliente non abituale verso bar “moderni”, ci vuole del tempo. Senza dubbio oggi le insegne principali sono concentrate a Lima dove trovi sempre i più importanti esponenti».

Si può parlare di una mixology del territorio, un po’ come fanno i cuochi peruviani con la meravigliosa biodiversità del Perù?

«Assolutamente sì, sfruttando le risorse, essendo sostenibili con ciò che c’è ed essendo creativi, possiamo lavorare solo con prodotti peruviani e utilizzare tutti gli ecosistemi e la gamma di input che da essi derivano».



Nel Carnaval vi siete specializzati molto nel ghiaccio? Perché e in che modo?

«Quando parliamo di ghiaccio, dobbiamo tener presente che non serve solo a far raffreddare il cocktail o che abbia una certa consistenza. Dovremmo invece iniziare a pensare che il ghiaccio sia parte integrante di tutti i cocktail. Prendiamo in esempio un gin and tonic, se usiamo soltanto acqua tonica e gin freschi e li uniamo, non avremo un buon cocktail perché manca l’acqua. L’acqua abbraccia tutti i prodotti; così come in cucina ci sono diverse aree, anche qui al Carnaval, il bar si gestisce come una cucina, per questo abbiamo creato un’apposita stanza per il ghiaccio in cui lo produciamo quotidianamente in differenti consistenze, forme, colori e pesi, ognuno per l’uso che dovremo farne».

Qual è il cocktail simbolo del bar?

«Si chiama Carnaval ovviamente: London Gin, Chartreuse verde, ananas, limone e birra. È un cocktail che illumina la città, con cui vogliamo viaggiare in tutto il mondo!».

Giornalista nato in Abruzzo e vissuto a Chieti finchè non ha ricevuto la “chiamata”: subito dopo il diploma infatti, comincia il percorso nell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo che lo ha poi portato a ciò che è oggi, un gastronomo. Specializzato nella cucina (e non solo) dell’America Latina, vive a Milano e conduce il suo programma televisivo “Mangio Tutto Tranne” su Gambero Rosso Channel.

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