CAFFO CESELLA IL RUM AGRICOLO DALL’ANIMA CALABRA

Nuccio Caffo cover

La distilleria di Vibo Valentia, pronta ad avviare la coltivazione della canna da zucchero. Intervista a Nuccio Caffo

Prende il via da un progetto sperimentale nato in seno al Polo di Innovazione Agroalimentare Future Food Med di Vibo Valentia e per il momento è ancora una produzione contenuta, limitata a poche centinaia di bottiglie, ma il primo rum agricolo di Calabria è realtà.

A firmarlo è il Gruppo Caffo, che per questa prima distillazione ha impiegato la materia prima coltivata a Bovalino (RC) dall’Azienda Agricola Il Canneto, di Renato Leobono. La distilleria calabrese si sta però già attivando per la coltivazione della canna e promette nuove sperimentazioni per il prossimo anno. «Il prodotto ancora non è in commercio. Siamo in attesa di fare una maggiore produzione l’anno prossimo, in base alla coltivazione della canna», dice Nuccio Caffo, amministratore delegato del gruppo di famiglia. La prima distillazione, realizzata con la canna proveniente dalla costa ionica della regione, sarà probabilmente seguita il prossimo anno da una sperimentazione con materia prima coltivata nell’area tirrenica, a cui si aggiungeranno prove di blend e affinamento.


La coltivazione della canna da zucchero

Tra gli obiettivi, quello di produrre un rum premium, in quantità limitate e da una filiera controllata in ogni fase della lavorazione, dal campo fino al bicchiere, ma anche quello di proseguire una passione per il distillato di canna, già incrociata dallo storico brand Borsci San Marzano, parte del portafoglio Caffo.

Nell’intervista a Spirito Autoctono, Nuccio Caffo racconta le prime fasi di un progetto che risveglia una coltura da tempo abbandonata in Calabria e che potrebbe invece riservare ottime sorprese in campo spiritoso.

Il primo rum di Calabria è firmato Caffo, come nasce?

«Il prodotto nasce sostanzialmente dall’incontro tra l’unica distilleria presente nella regione Calabria e l’unico agricoltore che ha provato a fare la canna da zucchero su un suo appezzamento. Il link l’ha creato l’Università di agraria di Reggio Calabria e, in particolare, la professoressa Maria Teresa Russo, che è anche la responsabile del comitato scientifico del Polo di Innovazione Agroalimentare Future Food Med».

State avviando la coltivazione della canna da zucchero, di quale varietà si tratta?

«Abbiamo iniziato la coltivazione con una varietà di canna verde abbastanza comune, ma stiamo anche facendo delle prove con una varietà di canna da zucchero nera, la black, per vedere le differenze di resa anche dal punto di vista organolettico tra le due tipologie. L’anno prossimo continueremo con le sperimentazioni e poi decideremo se fare due diverse tipologie di rum in base alla materia prima oppure se fare un unico blend.

Per quanto riguarda la tipologia di prodotto invece, al momento ovviamente si tratta di un prodotto giovane. Il quantitativo è piccolo e non ci ha ancora permesso di avviare la fase dell’invecchiamento, che sicuramente sarà avviata l’anno prossimo su una produzione più grande nei nostri magazzini d’invecchiamento, che sono sempre ubicati in Calabria».

Quali tecniche utilizzate per la produzione?

«Utilizziamo degli alambicchi bagno maria a vapore, discontinui. La canna da zucchero viene portata in distilleria, dove viene spremuta per ottenere il succo di canna. Poi questo succo viene fatto fermentare e, a fine fermentazione, quando ha raggiunto circa nove-dieci gradi alcolici, procediamo con la distillazione. Dopo la distillazione, il prodotto è stato campionato dall’agenzia delle dogane, come si fa normalmente per tutte le acqueviti, l’ha spedito presso il proprio laboratorio, che ha dato esito positivo alle analisi». 


Un campione del rum agricolo in fase di produzione

Quali sono le analogie tra la Calabria e le aree storicamente vocate alla produzione di rum?

«A parte le temperature, bisogna considerare che la Calabria nel Settecento aveva una grande produzione di cannamela, ovvero canna da zucchero. Veniva utilizzata per produrre zucchero. Anche nell’area di Vibo Valentia c’era uno zuccherificio, per l’esattezza a Vibo Marina, che produceva zucchero dalla canna. Poi questa produzione si è persa e in Italia si è avviata la produzione dello zucchero da barbabietola, anche perché quella da canna da zucchero arrivava dall’estero a prezzi inferiori e in generale non era più conveniente produrre zucchero di canna in Italia, tra Calabria e Sicilia».

Non temete il confronto con un distillato che ha una vocazione peculiare e storicamente localizzata?

«Non vogliamo andare a confrontarci con questa realtà. Abbiamo fatto una ricerca e dimostrato che anche a queste latitudini si può produrre del rum, con una qualità che, a detta di chi già l’ha assaggiato, è sicuramente paragonabile ai rum agricoli che vengono prodotti in altre zone del mondo. Sicuramente il clima della Calabria si presta e anche in questo caso il territorio ci aiuta per ottenere un prodotto che ha una buona percentuale zuccherina. In seguito alla fermentazione, dal punto di vista organolettico si è ottenuto un buon prodotto, ma questo lo lasciamo giudicare ai consumatori. Un aspetto che certamente non è paragonabile con i Paesi del Centro-Sud America è il costo di produzione del prodotto, perché la manodopera in agricoltura, in Italia come nel continente, in generale ha un costo maggiore, così come varie altre voci di costo. La piccola quantità non aiuta a ottimizzare i costi di produzione, ma non puntiamo a fare un prodotto che entri in concorrenza con certi rum di Cuba, prodotti a milioni di litri».


L’etichetta del Rum Agricolo di Calabria

Quale posizionamento cercate per il nuovo rum made in Calabria?

«Ci stiamo organizzando per fare una piccola produzione di nicchia che sicuramente, dal punto di vista del costo, sarà collocata nella fascia alta del mercato. A volere questa chicca saranno sicuramente gli appassionati e l’acquisto non sarà di certo motivato dal prezzo.

Cerchiamo un posizionamento alto già per la versione base, quindi il rum bianco agricolo, e poi per le riserve sicuramente ci si posizionerà ancora più in alto, anche perché sarà tra i pochi rum veramente distillati in Italia da materie prime italiane. Portare del melasso e farlo fermentare in Italia è facile e il rum si può ottenere anche così. Invece, coltivare la canna e ottenere il rum non dal melasso ma dal succo della canna sicuramente non è paragonabile all’altra strada, che è anche più economica. Ecco perché il nostro posizionamento sarà alto».

È solo un complemento di gamma o una sfida particolare… oppure c’è una passione nascosta per il distillato dei pirati?

«Il rum è uno dei distillati più apprezzati del mondo e fare una piccola produzione di rum italiano è sicuramente un qualcosa che completa la nostra esperienza di mastri distillatori. Con l’occasione però, vorrei ricordare che c’è un precedente… Noi siamo i produttori dell’unico “spiced rum” italiano, quello che nasce appunto come rum oltre 180 anni fa. Sto parlando del Borsci San Marzano, un prodotto nato come “Rum di San Marzano”, in quanto era ed è tutt’ora un liquore a base di rum, erbe e spezie orientali. Poi, negli anni ’50, il nome è stato cambiato in “Elisir di San Marzano”, il nome che tutt’ora il prodotto riporta in etichetta».

Radici toscane tra Mugello e Chianti, adottata in Veneto tra ombre e bacari. Ha il naso sul vino da quando lo ha tolto dai libri (forse le cose si sono anche un po’ intrecciate…) e un passato tra voli intercontinentali, valigiate di bottiglie, Paesi asiatici e degustazioni. Diplomata Ais, approda alla comunicazione come ufficio stampa e poi nella redazione di VinoNews24.it. Viaggia, assaggia, scrive, ascolta molto e parla quando serve (svariate lingue).

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