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IL CESARE E L’ERNESTO

Benvenuti all’amBARadan: oggi si chiacchiera con Michele Mozzati

Mi piace immaginare Spirito Autoctono come fosse un salotto, non necessariamente nell’accezione più borghese …quello buono, più come una zona franca, accogliente e senza tempo. Dove quest’ultimo si può godere ascoltando storie, racconti e ricordi, dimenticando di doverlo misurare. Quattro sedie, una tavola ben ammannita di generi di conforto, la tv buia, il telefono spento in un angolo – tanto la Marisa sà dove trovarmi -. Qui, tra un tre sette e uno scopone, belle persone che chiacchierano in libertà, tratteggiando ricordi davanti ad un calice, poco importa quale sia la materia contenuta. Un ottimo rosso, uno straordinario distillato o una sinuosa bolla. Certamente, ognuno, il primo, il più longevo, il più affidabile dei social. E da questo vagheggiamento che stuzzica i miei pensieri ormai da tempo, nasce una nuova rubrica di Spirito Autoctono, anche questa senza tempo, senza obblighi, che profuma di perlinato e di bachelite. Un luogo emancipato, nel quale belle persone, spesso aliene a questo particolare settore, condivideranno con voi tratti della loro memoria.

Benvenuti all’amBARadan di Spirito Autoctono. Il primo viaggio sarà nella Milano di Michele Mozzati. Autore di Zelig (insieme all’inossidabile socio Gino Vignali), creatore di Smemoranda e di mille altre piccole perle del nostro quotidiano, ci accompagnerà nei suoi ricordi. La strada è facile, non potete perdervi, fendete la nebbia e seguite quella melodia che lui ha contribuito a regalarci: “Perché ci vuole orecchio…”

Francesco Bruno Fadda


di MICHELE MOZZATI

Barman, siamo così abituati a dirlo che non ci pensiamo troppo. L’etimologia è quanto di più diretto ci possa essere: Uomo-del-Bar, quello che sta dietro al bancone. Un po’ diverso, mi risulta, da Bar Tender che invece in modo leggermente più generico dovrebbe essere il responsabile di un po’ tutto l’ambaradan del business.

Diciamo subito che Cesare Daelli era un barman. E che ha segnato la nostra vita negli anni in cui fare l’università non era così scontato, ma neppure difficilissimo. Era banalmente una cosa che i giovani della piccola media borghesia milanese “dovevano fare”. E siccome a frequentare Lettere moderne avanzava il tempo di far politica nel movimento studentesco, di giocare a pallone, leggere, persino di lavoricchiare per mettere da parte i soldi delle vacanze, era chiaro che alla sera si poteva addirittura trovare il tempo per un aperitivo serio, di quelli del barman Cesare che lavorava appunto dalle parti dell’Università Statale.

Per non sentirci troppo politicamente in colpa, seduti davanti al bancone, citavamo l’Hemingway del periodo cubano “My mojito a la Bodeguita, my daiquiri a la Floridita”, e così eravamo contenti tutti. Cesare forse non sapeva neppure che Boteguita e Floridita erano due locali dell’Avana, ma mojito e daiquiri li sapeva fare benissimo. Noi comunque, anche per non farlo sentire troppo solo, gli parlavamo spesso dell’Ernesto (che poi sarebbe l’Hemingway) ricordandogli che all’Harry’s Bar un giorno Cipriani, Capo del mondo e dell’universo, ci aveva raccontato che Hemingway beveva soprattutto Martini Cocktail ma che pretendeva fosse fatto così: “Tre quarti di gin. Punto”.



Cioè si mette il ghiaccio nel bicchiere (rigorosamente conico) per raffreddarlo. Si butta il ghiaccio. Si prende il gin e si riempie il bicchiere per tre quarti. Si tira fuori il Martini dry. Glielo si passa vicino per cinque secondi (in pratica glielo si fa vedere). Si rimette via il Martini. Volendo si mette un’idea di scorza di limone. Cesare alzava il sopracciglio. Diceva che il cocktail non era esattamente così: non bisognava mettere il limone. Si rideva di gusto, ogni sera uguale. Poi partivano i Negroni e gli Sbagliati, questi ultimi nati da poco in un altro locale mito da aperitivi milanesi, il Bar Basso, troppo figo per noi in quei tempi.

Gli anni Settanta e Ottanta erano gli anni in cui nacquero gli aperitivi a Milano. Noi c’eravamo. E se ci siamo ancora è perché Cesare purtroppo non c’è più da tempo e così le nostre bevute, che continuano, sono una godibile scelta e non più un “dovere” tra Cultura e Rivoluzione. E soprattutto tra quelle due prime cose e Vogliadifareuncazzo. Che, per carità, ci sta, ma a settant’anni suona un po’ come “pensione”, roba da passare il tempo a guardarsi dentro. Ché, insomma, mettersi a fare gli umarèl di sé stessi, anche no.

Chi è Michele Mozzati

Classe 1950. Laurea in lettere, ma dopo aver ottenuto l’abilitazione all’insegnamento, sceglie di lavorare come caporedattore in una casa editrice di psicopedagogia.

A metà degli anni settanta con Luigi Vignali costituisce la coppia Gino & Michele che debutta a Radio Popolare di Milano nel 1976. Cofondatore di Smemoranda e autore di indimenticabili trasmissioni che hanno segnato la storia della televisione, tra queste “Drive in”, “Emilio”, la sit-com “I vicini di casa”, “Su la testa”, “Scatafascio”, “Matrioska” e “L’araba fenice”.

Sempre in coppia con Luigi Vignali a metà degli anni Ottanta apre con un gruppo di amici il teatro cabaret Zelig e a metà degli anni novanta inizia per Zelig l’avventura televisiva, che durerà per vent’anni consecutivi. Nell’attività con Luigi Vignali ha raccolto numerosi riconoscimenti a livello nazionale, tra cui una decina di Telegatti e il Premio della satira di Forte dei Marmi. Michele Mozzati ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro come ʺcittadino emerito del Comune di Milanoʺ nel 2005 e il biglietto d’oro per il film “Così è la vita” di Aldo Giovanni e Giacomo nel 1997. Negli ultimi anni ha pubblicato Skira due opere ispirate al pittore Hopper: “Luce con muri” (2016) e “Silenzi e stanze” (2018).

Sardo per nascita, italiano per convinzione, battitore libero per natura. Giornalista e gastronomo, autore, ghost writer, avvocato mancato (per fortuna!) e cuoco mancato (ma c’è sempre tempo!). Vivo e “divoro” il mondo per passione prima che per professione. Quattro i punti deboli: le donne che bevono whisky, i cani, la Mamma e i “Paccheri alla Vittorio”. Poche cose mi irritano come “Gioco di consistenze”, rivisitazione, texture e splendida cornice! Un sogno nel cassetto: vedere “enogastronomia ” quale materia di studio nella scuola dell’obbligo… chissà, magari un giorno!

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