Chicco Berta
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CHICCO BERTA: «L’EXPORT SPINGE, MA PRIORITA’ ALLA RISTORAZIONE ITALIANA»

La Grappa è molto richiesta all’estero, ma per l’imprenditore piemontese deve prima essere presidiata l’Italia

La grappa è in salute e la domanda su scala internazionale cresce. Parola di Chicco Berta oggi al timone di Distillerie Berta.

L’azienda, che tramanda da tre generazioni i valori e gli “spiriti” del territorio del Monferrato, affonda le radici nel Novecento, con la fondazione nel 1947 ad opera di Paolo Berta.

Oggi a Mombaruzzo vengono prodotte oltre 30 diverse qualità di grappa, frutto della sapiente arte della distillazione affinata nel tempo, e sei tipi di liquori. Sono eccellenze del made in Italy ricercate in mezzo mondo e Distillerie Berta ne esporta il 50% in 75 Paesi. I mercati esteri di riferimento sono principalmente Germania, Svizzera, Giappone e Canada.

Un trend in crescita, eppure in questa intervista a Spirito Autoctono Chicco Berta rivela un attaccamento al mercato italiano che non è solo affezione per il proprio paese, ma una precisa strategia di posizionamento.


Le Distillerie Berta

Chicco Berta, come sta oggi la grappa?

«Difficile parlare per un intero settore e per un prodotto che ha secoli di storia. Non amo le classifiche né chi sa tutto. Posso guardare in casa mia e rispondere che, nel mio piccolo orticello, la grappa sta andando bene. Non posso dire che per tutti sia così, ma noi stiamo vivendo un momento molto buono».

Come è stato il passaggio dal 2022 al 2023?

«Lo scorso anno è stato schizofrenico. Forse perché venivamo dal tempo delle chiusure e la gente aveva una voglia matta di socializzare, tornando alle vecchie abitudini, fatto sta che i numeri sono stati fuori misura. Forse c’è stato pure qualche eccesso… Quest’anno siamo tornati sui livelli de 2019, con una buona presenza nella ristorazione e con un ritorno ai locali che contano. È stato importante dare fiducia a chi ha lavorato bene nel tempo. Questo è un momento difficile, tra gli aumenti delle materie prime e le spinte inflattive generali, per cui sembra che le persone abbiano meno da spendere e gestiscano le proprie risorse con attenzione».

Rimane essenziale l’aggancio alla ristorazione?

«Per noi rimane assolutamente essenziale, anche perché è l’unico mercato che io conosco, dato che non posso parlare di gdo. E per l’horeca il 2023 è partito nettamente meglio rispetto alle attese. Da un certo punto di vista potremmo definirlo emozionante, fantasmagorico. Perché nessuno poteva immaginare una cosa del genere dopo il 2022 e con una situazione di difficoltà evidente».


La famiglia Berta. Da sx Annacarla Berta, Chicco Berta, Giulia Berta e Simonetta Ghidone

Cosa si aspetta dalla seconda metà del 2023?

«Chi non teme un rallentamento in questi momenti è uno stolto. È follia pensare che non arrivi una flessione».

Per la grappa si può parlare di un cambio sostanziale nelle abitudini di consumo?

«Sicuramente sì. Oggi si sta consumando grappa in modo diverso. Non è più vista come uno spirito banale, è diventata un bene prezioso per un fine pasto. Una volta era completamente diverso l’approccio: la grappa era un corroborante, aiutava le persone a condurre quotidianamente la propria vita. Era un alimento che permetteva di andare a lavorare in campagna ogni giorno. Oggi invece è un lusso, è un prodotto nobile e viene consumato prevalentemente a fine pasto».

Come è avvenuto questo passaggio? È solo cambiato lo spirito del tempo?

«In Italia abbiamo molti bravi distillatori e siamo riusciti a sdoganare un prodotto che forse era di bassa lega. L’abbiamo portato, assieme a molti colleghi molto bravi, ad una qualità media elevata e dunque a meritare un posto sulle tavole piu importanti del mondo. Oggi la grappa è davvero il distillato che rappresenta il made in Italy e che completa l’esperienza del pasto nella ristorazione italiana».

Quanto è internazionale la grappa? È plausibile che oggi il mercato cresca fuori Italia?

«Questo è il nostro compito: portare la grappa ad uscire dal contesto esclusivamente italiano. Trovo sinceramente che ci sia un potenziale non da poco e per Berta funziona già così. Noi siamo dei privilegiati perché abbiamo costruito questo rapporto strettissimo con l’horeca di alto livello e viviamo dell’evoluzione del prodotto verso un mercato internazionale. Pur prestando sempre grande attenzione al contesto domestico, perché ho sempre pensato che sia essenziale esser forti a casa propria e non uno dei tanti, le piazze importanti sull’estero sono da sempre un presidio».


Berta Lab

Quanto è importante e quanto cresce la domanda internazionale?

«Per noi è importante e crescerebbe anche più di quanto cresca ora, però io non voglio sbilanciarmi completamente sull’estero. Anzi, ho sempre voluto e fermamente imposto la scelta di destinare il 51 per cento della produzione all’Italia e il 49 per cento a tutti gli altri mercati. L’Italia è il nostro paese, è una destinazione turistica d’eccellenza perché vanta una quota enorme di patrimonio artistico e culturale, è visitato ogni anno da milioni di turisti… che senso avrebbe allora proporre il mio prodotto a Düsseldorf, a Shanghai, a New York se poi quando tedeschi, cinesi, americani vengono in Italia non lo trovano nei nostri ristoranti eccellenti e nelle enoteche del territorio?».

L’Italia rimane il perno come mercato e come identità?

«Deve essere così. Sono partito dal mio paese per arrivare in 80 paesi nel mondo, ma trovo sia disdicevole girare il mondo e poi non avere una presenza forte in Italia. Questa è la mia filosofia di vita e mia filosofia aziendale. Per questo prevedo allocazioni all’estero non oltre la metà della produzione, anche se la domanda ci permetterebbe di crescere oltreconfine».

Vuol dire che frena la domanda?

«I mercati internazionali sarebbero molto contenti di avere più bottiglie, ma noi abbiamo una produzione limitata (difficile altrimenti garantire l’eccellenza) e scegliamo di destinarle al mercato interno».

Come vede oggi la grappa nel bouquet degli spiriti italiani?

«Gli spiriti italiani stanno bene. Grazie alla grande capacità imprenditoriale che il nostro paese ha, stiamo vivendo un momento straordinario e forse unico».


La cantina Solo Per Gian

In questo momento nel mondo spirits pesa più la qualità o pesa più la moda?

«La moda ha un peso importante. Sappiamo perfettamente che esistono consumi modaioli e abbiamo visto un’esplosione incredibile dei gin, ad esempio. Una volta erano tre e adesso è quasi un fenomeno comunale, forse eccessivo, anche perché poi guardi l’etichetta e scopri che, dietro al brand, sono sempre poche aziende a distillare. Anche per questo credo che la moda sia un traino importante, ma poi la storia ritorna. Essendo diversamente giovane, ricordo periodi in cui il Barolo non si consumava e i produttori si trovavano ferme in cantina 6/7 annate, ma poi quel grande prodotto ha ripreso la propria posizione di “vino da re”. Ecco, i prodotti che hanno storia ritorneranno sempre, nonostante possano avere momenti di flessione. La storia parla».

Quanto è qualificante l’etichetta made in Italy?

«Pesa molto, sempre. Noi dovremmo sempre ricordarci di ringraziare i nostri emigranti. È grazie a loro che noi oggi possiamo parlare di un fenomeno italiano, perché hanno portato i ciapèt all’estero e hanno passato le pene dell’inferno per far studiare i propri figli. Questo ci ha permesso di avere un canale preferenziale verso il mondo già trent’anni fa, quando la grappa era un prodotto basico. Grazie ai nostri emigranti abbiamo iniziato a farci conoscere e poi siamo cresciuti tutti. Come il vino italiano è passato dall’essere venduto sfuso o nei fiaschi, con pochi imbottigliatori consapevoli, anche la grappa ha fatto passi da gigante. Bisogna fare ricordarsi la propria storia, altrimenti non si costruisce il futuro».

Qual è il rapporto del mondo spirits con i giovani? E del mondo grappa?

«Il consumo giovane vede un incremento incredibile. E parlo di spiriti italiani buoni, non solo dei prodotti basic da sballo. Vedo nei giovani una grande voglia di imparare, di approfondire, di andare oltre il solito beverone spacciato per un drink da sabato sera. C’è un interesse vero e crescente. Certo rispetto alla grappa questo si nota un po’ di meno, perché non è un prodotto modaiolo e vive di regole abbastanza consolidate. Qualcuno spinge sulla mixology, ma non è facile per chi lavora nella miscelazione gestire un prodotto così marcante».

Guardando avanti da qui a 5 anni, come vede lo scenario per gli spiriti italiani e in particolare per la grappa?

«Onestamente, io fino a pochi anni fa riuscivo a fare delle previsioni, più o meno accurate. Programmavo la progettualità per la mia azienda almeno sul triennio e francamente non è mai andata troppo male. Da piemontese, non ho mai voluto fare passi più lunghi della nostra gamba e non ho mai voluto essere esageratamente ottimista nelle previsioni, ma nemmeno sono mai stato pessimista. Ho sempre cercato di guidare la crescita della nostra famiglia-azienda partendo dalle fondamenta. Eppure qualcosa è cambiato, soprattutto dopo il covid. Se noi abbiamo sempre finito il prodotto tra settembre e ottobre, a giugno 2022 non avevamo una sola bottiglia da vendere. Abbiamo avuto anche problemi con gli approvvigionamenti di materiali (dalle bottiglie ai cartoni), ma questo mi ha comunque fatto riflettere su quanto sia difficile fare proiezioni e previsioni oggi. Detto questo, guardo avanti come sempre da ottimista. Guai ad essere pessimisti!».

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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