Livorno
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Caffè del Marinaio e Ponce alla Livornese, cortesie di un tempo lontano

L’Italia del caffè corretto. Quel profumo sinuoso che ricorda il perlinato del bar dello sport, le sedie colorate e le coppe in alto, sopra il bancone. Quell’immagine seppiata che subito spinge il carrello della memoria a tutte quelle volte che lo zio, quello preferito, ci portava per mano a comprare il gelato. Noi intenti a scegliere tra un Cucciolone e un Liuk mentre lui chiedeva un caffè. Rigorosamente strizzando l’occhio. Un segnale, un codice preciso che indicava semplicemente “corretto eh!“. Un piccolo lusso rinvigorente che solo apparentemente è dimenticato o relegato a sparute giornate invernali: la tradizione del caffè con quel quid in più è più fervente di quanto si pensi; imbattersi in bevande da fine pasto a dir poco rinvigorenti capita più spesso di quanto ci si aspetti.

Come mai? Perché in realtà l’aggiunta di grappa o altro distillato al concentrato di caffeina è ben lungi dall’essere abitudine esclusiva delle grandi altezze. È più una passione italiana in generale, che serpeggia soprattutto tra quei lavoratori storicamente costretti a orari difficili e lavori estenuanti. Come i pescatori. Se infatti volessimo giocare – e vogliamo farlo – a fare i piccoli detective, lo Sherlock che è in noi troverebbe tracce di questa lunga tradizione su un ponte ideale – alcolico, si intende – tra le Marche, la regione che ha inventato il Caffè del Marinaio e la Toscana del Ponce alla Livornese. E così come la penicillina, con ben altre utilità, è nata per sbaglio anche questi cocktail hanno visto la luce per rispondere alla basica necessità di stare svegli in condizioni, di notte e in mare aperto, in cui il semplice caffè non bastava. La poesia del caso insomma, e via che una moka può svelare la sua anima più briosa, con l’aggiunta di un goccio di rum e un pizzico di spezie.

Il Ponce alla Livornese

Partiamo dalla storia del Ponce alla Livornese.  Il nome lo suggerisce già: non è una ricetta giovane. Sembra portare con sé, in effetti, quella polvere un po’ fané delle cose belle di altri tempi. La sua nascita, leggenda vuole, viene settata intorno al 18esimo secolo, quando insieme al carico di qualche nave inglese arrivò a Livorno anche il punch. Che divenne poi, italianizzato, ponce. La ricetta della Marina Britannica – per questioni cronologiche va considerata quella originale – prevedeva tè, cannella, zucchero, limone, acquavite o rum delle Antille, un bene prezioso per il tempo. A trovare un degno, e più economico, sostituito della parte alcolica ci pensarono i marinai livornesi con il cosiddetto “rum fantasia”: una mistura spiritosa preparata con l’unione di caramello e alcol puro che oggi potrebbe sembrarci, anche solo immaginandola, un po’ eccessiva, ma che in quegli anni era perfettamente adatta allo scopo di rinforzare la bevanda. Bevanda che prima prevedeva foglie di tè, poi nei primi anni del ‘900 virò con decisione verso il caffè, che si rivelò essere base decisamente più adatta all’aggiunta alcolica. Che era di rumme o Mistrà, liquore aromatizzato all’anice che ha sempre rivestito un ruolo importante tra onde e porti di mare. Il tutto ovviamente, viene preparato homemade nei retrobottega dei bar dell’epoca.

Il Ponce con gli anni si è saputo evolvere e la sua ricetta ora è quasi cristallizzata: un mix di rumme, cognac e zucchero da riscaldare fino a ebollizione per poi aggiungere il caffè – anche questo bollente. Regola imprescindibile, quella dell’aggiunta di una fetta di limone da fissare al lato del gottino, rigorosamente in vetro. Il risultato: un ottimo terapeuta per lo spirito.


Caffè ponce


Il Caffè del Marinaio

I marinai amano confrontarsi tra loro e per qualche motivo, forse saltando di barca in barca al calare della luna, lì sull’orizzonte, il caffè corretto è approdato anche nelle Marche. E’ nato prima l’uovo o la gallina? La ricetta del caffè corretto all’italiana più antica è marchigiana o toscana? In realtà non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Di certo i marchigiani amano raccontarlo come un caffè tradizionale da servire a fine pasto, narrando come i loro parenti pescatori – in particolare a San Benedetto del Tronto, patria di questa ricetta – lo utilizzassero per riscaldarsi durante le fredde notti in mare. Il caffè del marinaio è, a tutti gli effetti, uno dei simboli della cultura costiera e ancora oggi viene proposto con orgoglio nei ristoranti del luogo, che siano chioschi pied dans l’eau o ristoranti di alto livello. Come racconta Simone Marconi, al timone – è proprio il caso di dirlo – del ristorante Attico sul Mare assieme alla sorella Sara, «il Caffè del Marinaio è quasi un family affair» che andrebbe preservato come parte del patrimonio storico cittadino e regionale. «Si tratta di un caffè a tutti gli effetti, arricchito da anisetta, scorza d’arancio, cacao, rum e tutte le possibili spezie presenti a bordo, quindi la ricetta può variare così come le quantità degli ingredienti».


Simone e Sara Marconi
Simone e Sara Marconi

Questo caffè ha un po’ le sue regole, è meno codificato del ponce alla livornese, però non si può prescindere da alcuni dettagli: deve essere preparato con la moka e la vena alcolica deve essere decisa. Al di là dei punti fermi, con il passare dei secoli è probabile che i vari marinai non abbiano cambiato solo le proporzioni ma anche i liquori, scegliendo quello che era più facile da reperire o più di proprio gusto. Certo è che l’anisetta, anima delle Marche, è rimasta una costante nelle ricette più antiche e tradizionali. Quello che ha fatto la differenza sono stati gli incroci di aromi e spezie, spesso alleggerite negli anni come l’arancia – più delicata – che è andata a sostituire il più incisivo limone. Un lavoro più ragionato, come quello che alle spezie salva dispensa ha sostituito misture più equilibrate e volute.


Il Caffè del Marinaio
Il Caffè del Marinaio

Ponce e caffè, cosa succede oggi

Quale che sia l’origine, la paternità e l’effettiva data di nascita – solo vagamente importante – di certo c’è che oggi il Ponce Livornese è tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani, con una ricetta ufficiale, ben protetta dalle braccia del Ministero dell’Agricoltura. Protetta, non mummificata: come tutte le ricette continuerà a vivere e a evolversi, pur rimanendo fedele alle regole.

Destino diverso invece, sembra essere quello del caffè marchigiano, quasi un personaggio in cerca d’autore, o forse di un disciplinare. Secondo Simone Marconi e altri suoi colleghi di San Benedetto del Tronto, sarebbero necessarie delle regole che diano al vero Caffè del Marinaio una propria dignità inequivocabile. Una strada apparentemente non facile, ma che nessuno di loro ha paura di percorrere.

Serena Leo, piacere! Pugliese Docg, giurista per caso e storyteller per vocazione. Focalizzata su dettagli e sfumature, soprattutto quando si parla di enogastronomia, inizia a raccontare il mondo del vino con grande attenzione per la sua terra, partendo proprio dalle radici grazie a Wineroots.it. Segni particolari: calice pieno tra le mani, amante di distillati insoliti e introvabili. È costantemente alla ricerca di aneddoti che arricchiscano il piacere del buon bere, e perché no, del buon mangiare. L’imperativo categorico? Il bicchiere della staffa deve essere incredibile.

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