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SANTA TERESA 1796 E LA “SECONDA CHANCE” CON ALCATRAZ

La distilleria venezuelana racconta “Projecto Alcatraz”, un programma di riscatto individuale e sociale fondato sul lavoro e sul rugby.

«Vent’anni fa, a Revenga, il tasso di omicidi per abitante era tra i più alti del Venezuela. Oggi si è quasi azzerato», racconta Alberto Vollmer, ceo di Santa Teresa 1796, distilleria che può vantare una delle maggiori produzioni di rum in America Latina. Il fatto che ha determinato la pace sociale in questa complicata parte dell’America Latina si chiama Alcatraz ed è un progetto di recupero basato proprio sul lavoro negli spirits.

UNA CRIMINALITÀ SOFFOCANTE

L’hacienda Santa Teresa si trova in una località, Revenga appunto, situata nello Stato di Aragua, a circa 80 km dalla capitale Caracas. Le sue origini risalgono alla fine del Settecento quando prese il via la produzione di canna da zucchero. Quasi un secolo dopo, verso il 1885, inizia la produzione commerciale del rum, mentre la registrazione del marchio, il primo a poter vantare il marchio di denominazione “Ron de Venezuela”, avviene nel 1909. Tanta storia, tanta gloria (più di 50 medaglie d’oro conquistate nelle varie esposizioni internazionali), ma anche un problema che, dalla seconda metà del Novecento, inizia a pesare sempre più, condizionando l’attività stessa di Santa Teresa: la criminalità soffocante, strutturata a bande pronte a tutto pur di fare soldi e formate da componenti che hanno collezionato omicidi. Con una di queste bande, nel fatidico 2003, si intreccia la storia di Santa Teresa.



POLIZIA O LAVORO?

Quell’anno si verifica un attacco armato, da parte di tre uomini, fortunatamente senza conseguenze letali. Il capo della sorveglianza riesce però a fermare uno dei responsabili. «In un Paese normale lo avremmo consegnato alla polizia, ma in Venezuela il livello di corruzione tra le forze dell’ordine è altissimo e poi c’era il rischio che quel ragazzo scomparisse nel nulla. A quel punto gli abbiamo offerto un’alternativa per riparare il danno commesso: tre mesi di lavoro con noi». Alternativa naturalmente accettata. Poco dopo, il capo della sorveglianza arriva a individuare il secondo componente, che è il capo della banda. E poi il terzo. L’esperienza lavorativa prosegue e funziona, fino a quando si esaurisce e a quel punto iniziano i problemi. I tre vogliono continuare il progetto di riabilitazione, ma temono che la loro permanenza possa causare problemi a Santa Teresa perché la banda rivale, che gliel’ha giurata ai tre, può venire a conoscenza del fatto che loro sono lì dentro, e a quel punto la vendetta sarebbe inevitabile. La risposta di Santa Teresa è inclusiva: prendiamo anche la banda numero due e inseriamola nel programma di riabilitazione, che a quel punto prende il nome di Alcatraz, come il terribile penitenziario di San Francisco.


Santa Teresa 1796 la squadra di rugby "Projecto Alcatraz"
I ragazzi della squadra di rugby “Projecto Alcatraz”

CONFRONTO TRA KILLER

Il programma di recupero si fonda su due capisaldi: il lavoro e lo sport. Per il secondo si punta sul rugby: uno sport da bestie giocato da gentiluomini, secondo la citazione attribuita al giornalista Henry Blaha, e quella pratica sportiva diventa il mezzo per sviluppare lo spirito di appartenenza alla comunità, il rispetto e l’accettazione delle proprie responsabilità. Tra i momenti più leggendari del programma Alcatraz c’è l’incontro tra le due bande, la numero 1 e la numero 2, organizzato alla vigilia di un match che le avrebbe viste giocare insieme dopo anni di faide omicide. «Nella fase precedente le avevamo tenute rigorosamente separate – ricorda Vollmerperché se si fossero incontrate sarebbero stati guai. Ma prima o poi avrebbero dovuto giocare insieme a rugby, faceva parte del programma. Così, la sera prima dell’incontro, abbiamo messo insieme le bande nella stessa stanza, con i due leader faccia a faccia. Alle spalle avevano una trentina di morti. Dissi loro: siete sufficientemente forti per ammazzarvi, vediamo se sarete altrettanto forti per fare la pace».


Santa Teresa Rum e Rugby
Anther Herrera con la palla da rugby di Santa Teresa 1796

Come andò a finire? «Si diedero la mano, senza alzare lo sguardo da terra, in una stanza dove regnava un silenzio assordante. Poi, pian piano, gli sguardi si alzarono fino a incontrarsi. Fu un bam-bam di energia, coinvolgente per tutti: per noi, per loro, per gli altri componenti delle due bande che finirono per abbracciarsi. La notizia iniziò a girare per le case di Revenga. Si diceva che a Santa Teresa fosse capitato qualcosa di incredibile. E altre sei bande bussarono alla porta per entrare nel progetto».

HERRERA A MILANO

Il numero di bande sottoposte al programma di riabilitazione, nel frattempo, è salito a 11. Gli ex criminali coinvolti nel progetto sono più di quattrocento, e di questi una cinquantina lavora in Santa Teresa con mansioni diversi; c’è chi ha scelto la coltivazione della canna da zucchero, chi si occupa della logistica, chi fa il brand ambassador. Tra questi ultimi c’è Anther Herrera, il capo della banda numero 11, che Vollmer ha voluto con sé a Milano in una serata speciale, da Viva, il ristorante stellato Michelin della chef Viviana Varese. L’evento, celebrato il 21 novembre, era dedicato al tasting del Rum Santa Teresa 1796 Metodo Solera e del nuovo Santa Teresa 1796 Speyside Whisky Cash Finish, presentato per la prima volta in Italia, sotto la guida esperta della maestra ronera Nancy Duarte; a seguire, la cena con food pairing ideata da Viviana Varese. Ma l’attenzione è stata inevitabilmente catturata dal racconto del progetto Alcatraz, grazie anche alle parole di Herrera. «Ero un criminale, cercavo perdono, chiedevo una seconda possibilità. Oggi sono qui a Milano con te, viaggio nel mondo per rappresentare Santa Teresa e il progetto Alcatraz, sono una persona nuova, ho una famiglia nuova. Tutto questo è davvero incredibile», ci ha detto durante la presentazione.


Viviana Varese e Alberto C.Vollmer
Viviana Varese e Alberto Vollmer

I CAMPIONI DEL VENEZUELA

Una storia bella per un Paese dannato, considerato la Svizzera del Sud America fino agli anni Settanta e poi diventato uno dei luoghi più pericolosi del globo. Una storia che dimostra come tutto sia possibile, se alle spalle c’è un progetto e c’è la volontà di portarlo avanti. Adesso l’obiettivo di Santa Teresa 1796, con Alcatraz, è avvicinarsi sempre più ai giovani, per evitare che diventino manovalanza a servizio delle bande di trafficanti di droga e tanto altro. Nel frattempo, dal progetto Alcatraz è nata buona parte del movimento rugbistico venezuelano. La squadra Proyecto Alcatraz è campione nazionale dal 2015, sette titoli consecutivi da allora (considerando i due anni di sospensione del campionato per Covid). «Il capitano della nazionale venezuelana arriva da Alcatraz, come del resto l’80% della nostra selezione», precisa il Ceo di Santa Teresa. «Antichi assassini, o potenziali tali, sono diventati campioni di uno sport che insegna a vivere». E sempre da Alcatraz arrivano 18 allenatori che stanno seguendo i ragazzi per evitare che finiscano nella cattiva strada o in carcere.


Anther Herrera e Alberto Vollmer insieme a Milano
Anther Herrera e Alberto Vollmer insieme a Milano

REPLICABILE, A CONDIZIONE DI…

Il progetto è replicabile altrove? Per Vollmer lo è senza alcun dubbio. «In questi vent’anni abbiamo curato ogni aspetto, sviluppando anche un preciso manuale che applichiamo con scrupolo e precisione. Occorre però tener conto di tre passaggi, che vanno superati». Quali? «Il primo è superare la paura. Il secondo è dedicare una struttura e un team professionale al progetto. Il terzo è legato alle economie, perché si tratta di un progetto costoso. Ma il ritorno è altissimo e non solo dal punto di vista umano. Oggi le autorità, che inizialmente guardavano con sospetto Alcatraz considerandolo un potenziale rischio rivoluzionario, lo rispettano perché punta sui talenti, sulla competenza, sul lato migliore degli individui. E supera la logica punitiva dell’amministrazione di giustizia, che poi spinge le persone verso la recidiva».

BANDA NUMERO 12

Dopo undici bande, quale sarà il prossimo passaggio di Alcatraz per Santa Teresa? «Stiamo osservando la banda numero 12, un gruppo criminale che sta creando una certa tensione tra la gente… Siamo già in contatto con loro perché aderiscano al progetto». E chissà se, una volta entrati in distilleria, arriverà un futuro interno o esterno all’azienda. Perché da Alcatraz nascono anche evoluzioni professionali inaspettate. Come quella di una delle ultime bande transitate attraverso il percorso di riabilitazione: «Hanno dato vita a un’impresa di distribuzione di vini e liquori. Oggi sono nostri clienti», afferma Vollmer con malcelato orgoglio.



Giornalista specializzato in economia della moda, del design e del food&beverage. Attualmente scrivo per Milano Finanza, Vogue Italia, Gambero Rosso, Gruppo Food, Corriere Vinicolo e altre testate italiane ed estere.

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