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L’AUTUNNO SI È FATTO ATTENDERE? BEVIAMO ALLA SUA SALUTE

Finito il caldo, abbandoniamo drink allungati e birrette da spiaggia e concentriamoci su qualcosa di più serio

Giunti al centosessantaduesimo giorno d’estate, dopo averci inflitto uno slow cooking di un’intera, infinita, estate come fossimo dei magnifici pezzi di stracotto, Dio decise che poteva togliere il genere umano dal forno.
Sembrava impossibile, ci eravamo rassegnati a festeggiare Halloween in bermuda e a usare le angurie invece delle zucche, e invece eccoci qui a fare i conti con l’autunno. Che già di per sé è una stagione magnifica, portatrice di una galassia di sapori e godurie dai porcini in giù, figuriamoci quest’anno che aspettiamo il refrigerio come un miraggio. 

Ora però, mentre prenotiamo il ristorantino per il risotto ed estraiamo i soprabiti dagli armadi, un dubbio ci assale. Cosa si beveva quando l’autunno arrivava per tempo? No, perché siamo talmente abituati ad annegare i nostri bollori (solo climatici, per carità…) in birrette ghiacciate e long drink allungati all’infinito che ce lo siamo quasi scordato. Ecco dunque un’indispensabile guida per re-imparare a sbevazzare mentre fuori calano la nebbia e il buio già a metà pomeriggio.


Il Valtellina Superiore Sassella di Pietro Nera

1 – Bentornata Sua Maestà: il vino rosso (quello serio) 

Il mondo si divide in quattro categorie: gli astemi, a cui va la nostra compassione; i fondamentalisti delle bollicine; gli eclettici che sanno godersi ogni bicchiere; i sacerdoti del rosso. Ecco, questi ultimi hanno vissuto mesi da incubo. Di solito cedono al bianco solo quelle due settimane d’estate in cui vengono trascinati in vacanza al mare e per il resto dell’estate se la cavano a St. Magdalener, Bardolino e Pinot Nero belli freschi.

Ma quest’anno non ce l’hanno fatta neanche loro. E per tre mesi si sono inchinati al bianco, a prezzo di emicranie lancinanti. Ecco dunque che per costoro l’arrivo della stagione fresca diventa questione di sopravvivenza. Torme di bevitori che aspettano che il termometro segni 12 gradi con il balloon in mano per sentirsi legittimati a ordinare Super Tuscan, Baroli e Sagrantini, a costo di fare overdose di tannini. Comprensibile, ma il consiglio è di non esagerare, altrimenti a Natale poi cosa stappate? Da queste parti ci sentiamo di consigliare tre vini che a ottobre danno il meglio: Barbera d’Asti che chiama castagne a gran voce; Vernaccia nera marchigiana, il miglior amico del maiale; e infine Sassella di Valtellina per dare del tu al fungo, imperator dello splendido autunno.


Un Kir Royale realizzato con sloe gin

2- Per un detox dal gin, ma non del tutto: il tempo dello sloe 

Mossi dall’arsura, quest’estate avete ingollato l’equivalente in gin del Pil di un medio Paese dell’Africa australe, quindi forse è il caso di prendersi una pausa. Non che il gin d’autunno ci stia male, tutt’altro, ma magari variare non vi farebbe male.

Se però temete la crisi d’astinenza, allora c’è lo sloe gin, il metadone per i tossici del distillato di ginepro. Lo sloe è una varietà di gin tradizionale, in cui vengono messe a macerare le bacche del prugnolo, le stesse che si usano per il liquore bargnolino in Italia. Ha una gradazione inferiore rispetto al gin e ovviamente l’aggiunta di zucchero. Riesce però ad evitare l’effetto liquoroso grazie a un guizzo asprigno di frutta rossa che fa tanto serata sul divano. Si può bere liscio, ma il suggerimento è di provarlo in un drink shakerato curioso: il Charlie Chaplin cocktail. 1/3 sloe gin, 1/3 di brandy (all’albicocca, ma va bene anche normale: verrà più secco), 1/3 succo di lime e un goccio d’acqua. 


Rusty Nail

3- Whisky, finalmente. In ogni sua forma

Ah, la sensazione del freddo notturno da combattere con un dolcevita e con un bicchiere, che meraviglia… Il whisky ce lo eravamo un po’ lasciati per momenti più climaticamente favorevoli e ora dobbiamo recuperare il tempo perduto. Quindi di sicuro occorrerà provare le varie bottiglie che sono state lanciate a settembre, quando ci si squagliava solo all’idea di aprirne una: Glenmorangie Tale of Tokyo (qui il nostro approfondimento), The Hearach, le Special Releases Diageo appena uscite.. Abbiamo tutta una stagione, seppur sempre più corta, per sperimentare. Epperò non di soli distillati lisci vive l’uomo, e neppure la donna. Se il rum va forte nelle stagioni estreme, dai cocktail con frutta estivi ai morbidissimi bicchieri sorseggiati davanti al camino d’inverno, il whisky sembra fatto per le mezze stagioni, soprattutto per quanto riguarda la mixology. E noi vi piazziamo tre consigli.

Al terzo posto il Rusty Nail, che è la trasposizione liquida del foliage aranciato di certi boschi: single malt e Drambuie (il  liquore al miele scozzese), per un bel “duo cocktail” da dopocena. Al secondo ecco il Boulevardier, che sostituisce il Negroni dal momento in cui si comincia a mangiare l’ossobuco e il bollito (meglio con rye whiskey, più speziato, shakerato e servito senza ghiaccio in bicchieri piccoli). Infine, al top, niente batte il Rob Roy in quel di ottobre: Scotch – noi tifiamo per il torbato – vermouth e Angostura. E una voglia di brughiere, tweed e Loch Ness che ci viene da prenotare un Milano-Edimburgo prima di finire il bicchiere. 

Ah, ovviamente l’Old Fashioned è autunno puro, ma questo lo sapete già, mica vi serve Spirito Autoctono… 



4- Birra, perché non è mai troppo freddo per quella giusta 

No, la Corona no. Non andrebbe bevuta nemmeno d’estate, eh, ma si sa, anche i gourmand hanno i loro comfort drink e quindi se vi piace perché vi ricorda magiche serate di gioventù chiudiamo un occhio. D’estate ci abbiamo fatto il bagno, nelle lager e nelle weiss fresche e leggere. In un’Ichnusa una volta abbiamo rischiato di annegare.

Ma no, d’autunno le birre cambiano pelle, come certi animali. Mettono su gradi e corpo, e si presentano al bancone del pub, pronte a farsi sorseggiare mentre fuori tira vento. Senza andare sulle birre ad alta gradazione come le Imperial stout o certe belghe, noi proviamo a suggerirne tre: la Porter, irlandese o inglese, con le sue note tostate e la gradazione medio bassa in pieno stile Ale, uno stile raro ma che si sposa alla grande con certe carni e con i dolci alle castagne; la Rauchbier di Bamberga (birrificio Schlenkerla, rigorosamente) con malto affumicato, forse il perfetto mix tra focolare e buona tavola; e infine una cosa assai divisiva, da provare anche se non da amare per forza, la Pumpkin beer, un intruglio di spezie ideata per accompagnare la torta di zucca e altre diavolerie da Halloween. Autunnale di sicuro, buona chissà… 


La Grappa Tabacco di Gianni Capovilla

5 – Miele, tabacco e Venere: due chicche made in Italy per epicurei incalliti 

Trasferiamoci al dopocena, alle coccole sotto al plaid guardando una serie tv mentre fuori non smette di piovigginare. Momento da sorsi di gusto, momento da “riconsidero tutte le priorità della vita”. Per quel preciso momento, ci sono due prodotti non facili, anzi a dire la verità proprio complicati, sia da trovare sia da godere. Il primo è Gioiello di miele di castagno, una delle tre varianti di distillato di miele create dalle splendide donne Nonino: la dolcezza severa e robusta del miele meno dolce di tutti, unita all’apollinea perfezione della distillazione. Il secondo è invece la Grappa Tabacco di Gianni Capovilla, in cui nel distillato di vinacce di Amarone vengono lasciate a macerare foglie di tabacco prima della seconda distillazione. Semplicemente, un condensato di (quasi) tutti i vizi. Che sono i figli dell’ozio, in una famiglia che ci sta simpaticissima. 


Sherry Amontillado

6 – Io ossido, tu ossidi, noi beviamo vini ossidati 

Per tutto c’è un tempo, solo lo champagne è eterno, ripetibile e immanente. E c’è un tempo anche per quei vini liquorosi che nei secoli addietro erano ricercatissimi in tutta Europa e che ora spesso vengono prodotti solo per poi utilizzare le botti in cui riposano per invecchiarci il whisky. Sacrilegio.

Eppure va così, certi vini ossidati o fortificati sono diventati alieni al gusto moderno, un po’ come le giacche con le spalle larghe degli anni ’80. Però l’autunno, come uno stargate temporale sul Settecento, ci fa sembrare impossibile che abbiamo smesso di bere certi nettari. Qui, due su tutti: sherry Amontillado, quello del racconto di Edgar Allan Poe, ma soprattutto uno dei vini di Jerez più complessi, con un processo di produzione che prevede sia la fortificazione, sia l’ossidazione, con il risultato di creare un liquido dalle note entusiasmanti di nocciola e mela cotogna; Madeira, vino fortificato portoghese che riesce a unire una ricchezza speziata e tostata da piccola pasticceria con una vibrante acidità, cosa che lo rende fratello gemello dei formaggi. 


Il cocktail Martinez

7 – L’autunno in un bicchiere: il Martinez e il Sazerac (originali) 

Avevamo detto niente gin, vero. E in un certo senso confermiamo, niente gin moderni, e neanche London dry. Però… Però esiste un cocktail che sembra riunire in un bicchiere la voglia di dolcezza e di calore dell’autunno, insieme ai colori del fuoco acceso e dei tappeti persiani, insomma non si poteva non mettere.
Stiamo parlando del Martinez, tanto antico quanto solo recentemente codificato. Inventato nella città californiana omonima dal barman Julio Richelieu (che fantastico nome da luchador di wrestling), che lo servì a un minatore in cerca di emozioni forti, il Martinez ha lasciato la prima traccia scritta nel famosissimo taccuino di Jerry Thomas How to mix drinks. La ricetta: due parti uguali di vermouth rosso e gin Old Tom, ovvero con aggiunta di zucchero, un cucchiaino di maraschino e orange bitter. Raramente ci si sente altrettanto compresi a proprio agio davanti alla natura che decide di andare in letargo. Viene voglia di imitarla. Ma solo dopo averne ordinato un altro.

Chiudiamo con un’altra pozione, creata a New Orleans nel 1838 dal farmacista creolo Antoine Peychaud. Il quale serviva cognac “corretto” con i bitter di sua invenzione. A cui, a fine Ottocento, si aggiunse l’assenzio. Poderosamente caldo, con quelle note balsamiche che fanno tanto decotto della nonna per farti passare il raffreddore, non si può non socchiudere gli occhi e pensare alla propria tana, bevendolo. 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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