“Al bere pensaci tu”: breviario per superare incolumi un invito a cena
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“Al bere pensaci tu”: breviario per superare incolumi un invito a cena

Essere invitati a cena a casa di amici – fatte le debite proporzioni – è un po’ come andare in finale di Champions League: sei contento, ci sono le premesse per divertirsi…ma ogni errore costa caro e c’è il serio rischio di fare figuracce.

Questa ardita metafora calcistica per introdurre un dilemma che più o meno ha toccato tutti noi, quelli che alle cene gli altri fanno il dolce, ma “tu porta da bere”. Come se fosse semplice deciderlo. Come se fosse banale scegliere. Mentre invece è complicato quanto investire in borsa. Con i tassi impazziti. Bendati. E consigliati da Bernie Madoff.

Il Rappresentante di alcolici

Ci sono diversi approcci alla questione. Il primo è quello in cui si cade per ansia da prestazione. Mediamente noi maschietti nella fase di organizzazione di queste cene siamo utili come cheeseburger a un ricevimento kosher, quindi almeno sul beverage vogliamo essere performanti. Così al prossimo aperitivo rinforzato o alla prossima sessione di birrette potremo dire che stavamo facendo aggiornamento professionale. Ad ogni modo, per non sbagliare, portiamo tutto. E sbagliamo.

Quello del Rappresentante di alcolici è infatti un ruolo un po’ penoso. Non sa bene i gusti dei commensali, non si è informato sul menu, vuole stupire e incuriosire. Ergo, si carica come uno yak in coda per salire sul Nanga Parbat di ogni genere di bottiglia. Se si era detto vino, porta il bianco leggiadro, il rosso corpulento e pure una bolla, che non si sa mai. Ma poi vuoi non aggiungere un distillato per far carburare la conversazione dopo il caffè? E dunque via di rum e whisky da meditazione, con l’illusione che siano loro a far virare la chiacchiera su temi filosofici e non come sempre su pettegolezzi malefici. Sempre che il Rappresentante non decida in extremis di buttare dentro alle innumerevoli borse del supermercato anche qualcosa per un cocktail, per dimostrare che sì, sarà pure uno sventurato che non sa cucinare manco la pasta in bianco, ma ha due mani rubate alla mixology. Risultato: piccola ernia escissa al gradino tre sotto il peso della chincaglieria. Chi troppo vuole nulla beve.

L’Egoriferito liquido

Il secondo errore in cui non cadere è quello dell’Egoriferito liquido. Che è personaggio dai gusti difficili e dai disgusti facili, uno di quelli che «il metodo classico è una gazzosa ripulita, la bolla è in Champagne o non è». Costui è un ayatollah delle sue convinzioni, quindi ha deciso cosa portare alla cena di domani almeno sei mesi fa. Che sia agosto con temperature sahariane o un novembre da umidità fin sulle basette, lui è tetragono. Che si mangino crudité o cinghiale ripieno di piccione, poco importa, perché quel che porterà da bere è status e rappresentazione: dice chi è lui (e quanto ne sa) e pazienza se poi non c’entra una fava acerba con cibo e commensali. Lui – tendenzialmente è quasi sempre un lui – porterà orange wine e mezcal, oppure una lambic se si va di birra. Più il prodotto è di nicchia, e più egli ne godrà a decantarlo, nel generale e prevedibilissimo semi-disgusto collettivo. Che da un lato gli darà estrema gioia, perché gli confermerà che il suo palato è elitario al cospetto del popolo bue. E dall’altro lato confermerà ai commensali che la prossima volta sarà meglio dirgli di portare il gelato. Panna, cioccolato e fragola, prima che si inventi gusti da Tso.



Lo Scaricatore di Porto

Parallelo e opposto all’Egoriferito liquido è lo Scaricatore di Porto, ma non nel senso che ama trangugiare vino ossidato del Douro. No, lo Scaricatore è quello che ragiona per bancali e 3×2, quello che ha talmente in odio i fighetti del beverage che compensa riducendo tutto a una gara di essenzialità e concretezza drammatiche. Il concetto della qualità che passa attraverso un prezzo più alto gli è alieno, gli sembra quasi un’eresia, chi spende per i piccoli produttori è un simoniaco meritevole di ardere sul rogo (con i pellet, però, mica con la legna vera). Ragionevolmente, nessuno si affiderebbe a loro per scegliere i beveraggi, ma si sa, a volte si dice «pensate voi al bere» un po’ così, come si risponde «bene grazie» a chi chiede come va, pure se ti hanno appena licenziato e diagnosticato un herpes. Se però ricevono il compito, essi si presenteranno con ragionevole certezza armati con i prodotti più mainstream del mondo. Non i più economici – è Scaricatore, mica Barbone – ma i più convenienti in una scala qualità/prezzo elaborata nel corso di decenni di spese all’Esselunga: Prosecco, Barbera, grappa (invecchiata eh!), Aperol, Ichnusa. Ma non quella non filtrata, che va bene l’anima sarda, ma non la filtrano neanche e costa di più?

Enola Gay e altri mostri

Va beh, abbiamo visto tre dei mille personaggi in cerca di autore a cui potreste affidare la missione alcolica della vostra cena. Abbiamo tralasciato l’Enola Gay, ovvero quello che è convinto di dover sganciare una bomba atomica alcolica, e sceglie solo bevande mostruosamente forti, con il risultato che dopo l’aperitivo tutti bevono acqua perché sentono già pulsare fegato e meningi, e abbiamo sottaciuto anche il Piccolo Chimico, ovvero quello che si presenta con bicchieri, jigger, mixing glass, ampolle, rotavapor di piccolo calibro e terre rare con isotopi radioattivi per creare cocktail stupefacenti. Già, ma dopo la pars destruens, si può sapere cosa bisogna fare per non sbagliare a portare da bere a cena o no?

Informarsi

Beh, come in tutte le cose, serve buonsenso e comunicazione. Intanto, bisogna chiedere ai padroni di casa cosa si mangerà e quali sono i gusti. Pesce o carne, pizza o sushi, aperitivo o cena in piedi, e così via. Non è un dettaglio. Non è che vi potete portare tutta la cantina e altrettanto non vi potete presentare con un Amarone decontestualizzato. Allo stesso modo, chiedete se ci sono idiosincrasie. Viviamo nell’epoca delle fisime enogastronomiche, è un attimo che i vostri ospiti siano allergici al Vermentino o intolleranti alla vodka della Carelia, da non confondere con quella dei Buriati. Chiedete se vogliono pasteggiare a vino, birra, gin tonic, chiedete e vi sarà dato.



Altra cosa di cui informarsi, qualora la scelta cada sull’abbinamento cocktail, è se in casa c’è ghiaccio e ci sono bicchieri adatti. Perché voi potete pure essere la reincarnazione lombardo-veneta di Jerry Thomas, ma se nel sempre spazioso refrigeratore di casa ci sono solo i Sofficini dei ragazzi e neanche un cubetto di ghiaccio, la serata cocktail è meglio organizzarla al bar.

Infine, e non è un dettaglio, ragionate su come raggiungerete la vostra Terra Promessa della cena. A dorso di mulo, in velocipede, in tram, con una gondola a reazione, la cosa fa la differenza. Perché se portate un Blanc de Blanc per l’aperitivo e ci dovete andare a metà luglio in metro alla fine di un’estenuante escursione urbana, il rischio è che il vino arrivi più accaldato di voi. Altrettanto, se andate in bici agili e belli come solo voi sapete essere, non è semplicissimo portarsi single malt di 30 anni in lussuose confezioni di ebano trilobato.

La giusta scelta

Infine, una volta avute le informazioni necessarie, capito cosa e come portarlo, lasciatevi trasportare dalla vostra passione, ma senza mai dimenticare di mettervi nei panni degli altri. Se volete osare con gusti non convenzionali – un Riesling minerale e affilatissimo, un rum giamaicano esterificato come una fabbrica di vernici, un torbato a livello marmitta di Volkswagen con emissioni taroccate – date anche un’alternativa. Stupire è bello, ma solo se c’è la rete di salvataggio sotto. Create mentalmente un percorso che si sposi sia con il cibo, sia con le persone. Se vi invitano a cena, un po’ li conoscete, dunque sapete se apprezzano l’artigianalità o il brand, se guardano allo status o vanno di quantità. Se invece non li conoscete bene, state nel mezzo, come democristiani di lungo corso: vitigni alternativi ma case ben note, gin non convenzionali ma di sicuro appeal, cognac delle grandi maison più del microproduttore, birre artigianali ma stili non estremi e divisivi.

L’equazione, in fondo, è una sola: far star bene i commensali e dire qualcosa di voi, tenendo in equilibrio il qui e ora – bere cose buone che stiano bene con le portate – e il domani e dopo, ovvero quando i padroni di casa diranno «oh, ma quanto abbiamo bevuto bene ieri? Dobbiamo invitarli di nuovo la prossima volta». Obiettivo: evitare di farsi retrocedere al rango di portatori di gelato…

 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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