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SHERRY, MARE, TEMPO: A ZONZO PER LA SCOZIA

Poche miglia di distanza, enormi differenze di stile: GlenDronach, BenRiach e Glenglassaugh, le tre distillerie scozzesi del colosso Brown-Forman. Un mondo di sfumature tutte da scoprire

Atterrare in Scozia nel diversamente affollato aeroporto di Aberdeen verso le sette di una domenica sera di novembre è un’esperienza curiosa. Catapultati dalla diversamente tranquilla Milano, ci si ritrova in un mondo ovattato fatto di saracinesche abbassate, strade senza illuminazione e tramezzini acchiappati al volo in uno dei pochi Marks&Spencer ancora aperti.

Eppure l’aria è talmente pulita e il buio talmente buio che lamentarsi è impossibile. E quando, dopo un paio d’ore di macchina, si arriva nel cuore dello Speyside, il Bengodi dello Scotch whisky, nessuno ha davvero nostalgia del caos contemporaneo. 


Campbeltown

L’ETERNO RITORNO DELLO SCOTCH WHISKY DI CAMPBELTOWN

La più piccola regione produttiva scozzese vive oggi una nuova età dell’oro.


IL PARADISO DEL MALTO

Lo Speyside è una delle cinque regioni di produzione dello Scotch riconosciute dalla Scotch Whisky Association. È una distesa di colline che si allargano sulle sponde del fiume Spey, nelle Highlands a sud-est di Inverness. Qui si trova la più alta concentrazione di distillerie di Scozia, con 50 impianti funzionanti, tra i quali Glenlivet e Glenfiddich, che da decenni si contendono il primato di single malt più venduto al mondo.

Al netto del whisky, che qui è ragione di vita, sia economica sia turistica sia culturale, lo Speyside è un luogo delizioso in cui passare del tempo. Paesini graziosi come Aberlour e Rothes, cittadine storiche come Elgin, in cui perdersi tra negozi di cashmere e abbazie in rovina, montagne suggestive come il Benrinnes o i Cairngorms; e ancora la pesca al salmone, gli allevamenti di renne, il mare poco lontano. Non c’è davvero bisogno di un clima mite per godersi la natura qui. E infatti, tanto per cambiare, piove e il cielo è grigio come un reparto di lungodegenza. 


Il Quaich Bar del Craigellachie Hotel
Il Quaich Bar del Craigellachie Hotel

Siamo a Craigellachie, tecnicamente nel council di Moray, alla confluenza dei fiumi Spey e Fiddich, dove un ponte ottocentesco pomposamente turrito parla di un passato glorioso e si staglia sulle acque sempre ferrose e marroni regalando scorci da cartolina. 

Il nostro tour delle tre distillerie della BenRiach distillery company, acquistata nel 2016 per 281 milioni di sterline dal colosso Brown-Forman, comincia da qui. Nella fattispecie, dal salottino del Quaich Bar nel Craigellachie Hotel, uno degli angoli di Scozia più forniti di whisky in mescita, dove è d’obbligo un giro della buonanotte per riprendersi dal viaggio e prepararsi alle visite del giorno successivo. 

GLENDRONACH, IL RE DELLO SHERRY

Ecco, tutto il discorso di prima sullo Speyside trova subito un limite, nella fattispecie geografico. La prima distilleria che visitiamo si trova nei pressi di Huntly appena fuori dal territorio indicato dalla SWA, quindi tecnicamente siamo in Aberdeenshire, nella regione delle Highlands. Una zona che Alfred Barnard, il primo “influencer” dello Scotch, che tra il 1885 e il 1887 visitò le 162 distillerie del Regno Unito e pubblicò un reportage di 500 pagine intitolato The whisky distilleries of the United Kingdom, definiva “desolata”.


L'esterno della distilleria GlenDronach
L’esterno della distilleria GlenDronach

Si percorre una non breve e non segnalatissima deviazione dalla A96 che porta ad Aberdeen, e quando si arriva, scorgendo il classico tetto a pagoda che sovrasta il kiln, il forno dove si essicca il malto, si capisce subito che GlenDronach porta sulle spalle gli onori del tempo.

Il nome significa “la valle del bramble”, ovvero i cespugli di more che crescono un po’ ovunque da queste parti e che – vuoi per caso, per suggestione o per genio – si ritrovano anche nel carattere del whisky, così dominato dalle note di frutti rossi. Ma qui stiamo correndo troppo, e la fretta non si addice a una distilleria che nel 2026 compirà ufficialmente due secoli di attività. 

LA VISITA ALLA DISTILLERIA

Neil Strachan, che in quanto ambassador del gruppo fa le veci del nostro Virgilio, ci conduce qui e là fra gli impianti e le warehouses, aprendo porte rosse che sembrano uscire da racconti di Lewis Carroll e raccontando la storia rurale di GlenDronach, nata dall’iniziativa di un gruppo di agricoltori locali.

La zona, che viveva di coltivazione dell’orzo e dell’allevamento bovino di Aberdeen Angus, a inizio Ottocento era punteggiata di fattorie e mulini. Quando nel 1823 l’Excise Act rese legale distillare whisky, a patto di pagare una tassa, alcuni contadini locali guidati da James Allardice decisero di convertire il mulino meno produttivo in una distilleria. 


L'imbottigliamento del whisky GlenDronach
L’imbottigliamento del whisky GlenDronach

L’acqua corrente – il torrentello chiamato Dronach burn che ancora si vede scorrere dal piazzale antistante la distilleria – c’era, la richiesta di single malt da parte dei blenders e dei mercanti pure. La fortuna invece mancava, sicché negli anni successivi un incendio e la bancarotta di Allardice misero in forse il futuro della distilleria.

Il resto della storia, assai comune in Scozia, è un vorticoso susseguirsi di proprietari, momenti di gloria come il boom dovuto all’epidemia di fillossera che distrusse i rivali del cognac, e angoscianti crisi, fino ai tempi moderni, con la dismissione del pavimento di maltaggio a fine anni ‘90 e la conversione dell’alimentazione a fuoco diretto degli alambicchi con le più sicure serpentine a vapore. 

TECNICISMI E FASCINO

Oggi i lavori di ampliamento della distilleria fervono in vista del bicentenario, ma la visita è da subito un mix di contemporaneità e storia. Gli edifici più antichi, quelli in pietra oscura che sembra stillare umidità dai tempi delle guerre fra clan, risalgono a metà del XIX secolo, subito dopo la ricostruzione post-incendio. La still-house, che ospita gli alambicchi, è invece degli anni ’60.


La distilleria GlenDronach
La distilleria GlenDronach

Ma è il mulino in cui ancora si macina l’orzo a dare un’idea di quanto la legacy sia forte da queste parti. È un Boby Mill degli anni Venti in legno e metallo color terra di Siena, vecchio stile ma efficienza mostruosa: macina 5 tonnellate di orzo (varietà Concerto, acquistato già maltato da terzi) in un’ora ed è un piccolo prodigio di meccanica, tanto che in Scozia vi racconteranno di come le officine che li producevano siano fallite perché le macchine non si rompevano mai. Mito o realtà, fatto sta che è un oggetto bellissimo. 

Così come meraviglioso è il mash tun, il tino di fermentazione dallo scintillante coperchio in rame utilizzato da oltre un secolo, uno dei soli 13 “vecchietti” ancora attivi in Scozia. Qui avviene il mashing, la fase in cui gli amidi vengono convertiti in zuccheri. Il grist, il cereale macinato, viene lasciato in acqua calda (a tre diverse temperature) per 5 ore e mezza, un tempo mediamente lungo che non si cura troppo della dittatura della quantità. 


Campbeltown assaggi cover

WHISKY DI CAMPBELTOWN, UNDICI SORSI INTERESSANTI

Nella regione di produzione più piccola di Scozia ci sono solo tre distillerie, ognuna con buoni assaggi.


Accanto c’è la stanza della fermentazione, che dura come minimo 60 ore e avviene in 9 washbacks da 18mila litri (presto ne verranno aggiunti altri tre) costruiti dall’azienda Royal Deeside in legno locale, molto diverso dal legno di pino dell’Oregon utilizzato normalmente dall’industria dello Scotch.

È dallo sprigionarsi degli esteri che si delinea il carattere fruttato del distillato, con le classiche note di frutti rossi e arancia. Il wash, ovvero il fermentato di malto, esce da questi tini a una gradazione di 8,5%. Singolare che i tubi con cui i tini di fermentazione vengono riempiti e svuotati siano spostati a mano, alla faccia dell’automazione. 


Gli alambicchi della distilleria GlenDronach (foto da Whiskyclub.it)

QUATTRO CUORI DI RAME

Si arriva poi alla stanza degli alambicchi, il centro nevralgico di ogni distilleria. La forma degli alambicchi di rame è fondamentale per dare un’impronta sensoriale al whisky: GlenDronach mira ad un distillato oleoso e corposo che regga bene gli invecchiamenti in barili ex sherry, così gli alambicchi devono essere piccoli e tozzi: «Qui li chiamiamo saxophone stills», spiega Neil, sottolineandone la forma particolare. 

Ce ne sono 4, due wash still (che si riconoscono dalla presenza di una finestrella di controllo sul lato) e due spirit still, dai quali sgorgano 1,4 milioni di litri di alcol ogni anno. Una capacità di tutto rispetto, anche se non paragonabile ai colossi dello Scotch.

LE FASI DELLA DISTILLAZIONE

La prima distillazione regala un liquido a 22 gradi, mentre la seconda crea un new make a 69% vol che stilla dalla magnifica spirit safe, la “scatola magica” in cui vengono separate teste, cuore e code della distillazione. I tecnici prediligono un wide cut, ovvero un taglio ampio del “cuore”, così da includere più parti oleose. È sempre stato così, e come spesso succede qui, sempre lo sarà. Conservatorismo spiritoso. 

L’ultima fase della produzione e della visita è dedicata all’invecchiamento, che avviene nei dunnage, i magazzini originali di epoca georgiana, più costanti in termini di temperatura e più adatti alle lunghe e lente maturazioni.

Come detto, GlenDronach è da sempre – con una breve infelice parentesi – sinonimo di invecchiamenti in barili che avevano contenuto vino di sherry. Butt o puncheon – più comodi da stoccare – da circa 500 litri, in rovere spagnolo. Siccome rispetto all’Ottocento il consumo di sherry è drasticamente crollato, è necessario “preparare” i barili. Che vengono appositamente riempiti di sherry – soprattutto Oloroso – per due anni e mezzo a Jerez de la Frontera, in Andalusia. Il vino poi viene usato per produrre aceto. 

L’ANIMA DEL LUOGO

È qui, tra le botti più segnate dal tempo, che giacciono accanto alle nuove creazioni della Whisky Maker del gruppo, Rachel Barrie, che si respira quello che viene definito sense of a place, l’anima del luogo, una stratificazione di Storia e storie umane, di profumi ed errori, di consuetudini e colpi di genio che contribuiscono a rendere il single malt la perfetta cartina di tornasole di una comunità. 


I whisky della distilleria GlenDronach
I whisky della distilleria GlenDronach

QUALCHE ASSAGGIO

Alla tavola rotonda che troneggia nella sala degustazione del visitor center, Neil ci conduce per mano attraverso un percorso alternativo, oltre il core range classico così come era stato impostato da Billy Walker, l’uomo che ha rilanciato la distilleria nel 2008 prima di traghettarla all’interno del gruppo Brown-Forman.

Si parte con il new make, insolitamente buono e fresco, con un’eccezionale nota di arancia navel ben distinta nonostante la gradazione monstre. Si passa poi a uno degli imbottigliamenti ufficiali, il GlenDronach Parliament, invecchiato 21 anni in botti ex Oloroso e PX e imbottigliato a 48% .

Il nome deriva dagli stormi di corvi (parliament of rooks, in inglese) che per anni avvisavano i distillatori dell’imminente arrivo degli esattori delle tasse… Un whisky di grande eleganza, con un naso che unisce note di frutta secca e ribes nero, con una bella aria balsamica che ricorda le coccole di ginepro; il palato è severo, lo sherry prende la via del legno, delle spezie e della castagna, per un sorso asciutto in cui guizzano ancora le acidità dei frutti di bosco e del vino.

Tocca poi al Cask strength, giunto al suo dodicesimo batch. Un whisky dall’età non dichiarata (tra i 7 e i 10 anni) imbottigliato al grado di botte di 58,2%. A un olfatto un po’ chiuso e giovane, dove al legno si uniscono sensazioni di pan di spagna, bucce di mela, praline al cioccolato e rosa canina, segue un palato in cui l’alcol è perfettamente integrato. Tabacco, polvere di caffè, scorze di arancia e noccioli di amarena riempiono la bocca, prima di un finale non lunghissimo giocato fra cacao amaro e tiramisù.

UN CALDO E GODURIOSO ABBRACCIO

Gli ultimi due assaggi sono due Hand Filled. GlenDronach offre ciclicamente ai suoi visitatori la possibilità di imbottigliare direttamente da una botte apposita. Il primo è un single cask di Oloroso puncheon di 12 anni distillato nel 2011 a 62,3%, una bomba di sapori autunnali che vanno dal cacao alle uvette, dalle noci ai chiodi di garofano e che esplodono in una marmellata di more spettacolare. Così come spettacolare è il palato, pienissimo, in cui i tannini accompagnano note di frutta secca, fondi di caffè, crostata di prugne, melassa e Oloroso. Caldo, godurioso, ti abbraccia da dentro. 

Infine, ecco un 30 anni distillato nel 1993 e imbottigliato a 55,5%: meno espressivo del precedente, ma estremamente profondo, dove il tempo ha regalato aromi umidi di cantina, legno, qualcosa di timo e un guizzo funkie di salsa chipotle affumicata. Enorme invece il palato, dove l’acidità del ribes nero, dell’uva e delle amarene sostiene la vivacità del sorso, in un gioco infinito di cioccolato fondente e frutti di bosco. 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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