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Poveri di spirito. Come il “parmesan cheese” made in Oklahoma

Da Seedlip in giù, fino a Sabatini e Tanqueray, da qualche anno c’è la gara a infilare in portafoglio o in bottigliera prodotti low-alcohol o alcohol-free. Che è un po’ come se le macellerie pubblicizzassero il loro angolo del tofu: fa impressione ma tant’è.

Bere è libertà, dicono. Quindi chi guida o è incinta ma ha comunque sete di gin tonic, deve poter bere il gin tonic analcolico, sai mai che il pargolo nasca con una voglia di gin tonic in faccia (che tanto sarebbe trasparente). In più, tira questa aria da Temperance Movement 2.0 che dipinge gli alcolici come diavolerie da boomer, e non è una bella aria.

Non chiamateli distillati analcolici

Ovviamente viva la varietà e la sperimentazione, assaggiamo i panini di grillo e figuriamoci se non sorseggiamo anche queste sciacquature castrate di alambicco. Finché vendono, hanno ragione loro. Però finché si gioca pulito.

Se tutto quel che è “alcolico” è cattivo, lo è anche il lessico. Niente “gin analcolico”, niente “spiriti 0.0”. Spirito è soffio vitale, è l’alcole alchemico derivato dalla distillazione. Un distillato analcolico è un dischetto di seitan che si fa chiamare hamburger, un calciatore che gioca con le mani, un cane che si identifica come criceto, un “parmesan cheese” made in Oklahoma. Per cui un distillato analcolico, per quanto aromatico e gradevole, dovrebbe essere venduto in profumeria e recensito dagli esperti di acque minerali.

Formazione scientifica, professione artistica, passione alcolica. Il cognome tradisce le radici lombardo-venete che, se scrivi di spiriti, sono un plus. Collabora con diverse testate e qualche testata la rifila pure, ma rigorosamente solo al pallone.

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