Gin Extravaganza ovvero la perversione delle botaniche

La domanda è: ce n’era davvero bisogno? Davvero il mondo del gin pensa di migliorare così, sventolando ingredienti bislacchi?

La madre dei distillatori bizzarri è sempre incinta e l’onda lunga degli ingredienti insoliti che fanno capolino nelle ricette dei gin non si arresta. Carne, pesce, pietre e ben di peggio: perché non riusciamo a superare questa freudiana “fase anale”?  

Ciascuno di noi è e sempre sarà il bambino che è stato un tempo. Ciascuno porta e porterà con sé le fissazioni, le paure, gli schemi mentali di quando era piccolo. Ovviamente si spera che nel frattempo ciascuno di noi abbia imparato a gestire quegli impulsi infantili. Tendenzialmente si chiama maturità.  

Ecco, il gin questa maturità non sempre la dimostra. Anzi, ogni tanto si dimentica di avere alle spalle quattro densissimi e onorevoli secoli di vita e ancora si comporta come un insopportabile infante capriccioso che reclama attenzioni e cerca di far ridere tutti se dice le parolacce.  


Gin David Italian luxury, filtrato con il marmo di Carrara
Gin David Italian luxury, filtrato con il marmo di Carrara

L’effetto Wow

Parliamo del gin in generale, ma ovviamente il bersaglio sono i produttori. In particolare, quei produttori che ancora si ostinano a inventare, commercializzare e promuovere gin che hanno come prima (e spesso unica) attrattiva la presenza in ricetta di un ingrediente bizzarro. Esotico o fuori contesto, dev’essere un ingrediente in grado di épater les bourgeois, di scioccare il consumatore. La massima aspirazione è quella di fargli sospirare sottovoce, quasi trasognato: “Il gin con l’ingrediente X non me lo sarei mai aspettato!”.  

Sorvolando sul fatto che forse l’obiettivo sarebbe far commentare che il gin è buono, più che sorprendente, ci limitiamo a notare che questo atteggiamento da asilo Mariuccia della distillazione ahinoi funziona. Ha il respiro corto come quando si torna a fare jogging dopo le abbuffate di Natale, ma acchiappa. Perché per quanto infantile possa essere un produttore, il consumatore occasionale sempre in cerca di “cose strane” lo batte.  

Il primo non si scorda mai

Non sappiamo se sia storicamente il primo, ma è il primo che abbiamo provato. Si chiamava Lobstar, era stato ideato dallo chef stellato Kristof Marrannes per accompagnare il menu a base aragosta del suo ristorante e appunto utilizzava in distillazione l’alcol in cui era stato messo a fare il bagnetto per due giorni il succulento crostaceo. Realizzato da Spirits by Design, un’azienda belga, Lobstar (che nel frattempo ha cambiato lingua, si chiama L’Homard e costa 49 euro) veniva presentato in coppia come due gemelli siamesi al freak show con Butcher’s gin (70 euro), a base di carne di manzo di Rubia gallega. Il progenitore di Swami Wagyu gin (67 euro), che oggi utilizza carne giapponese grigliata con con legno di melo. 


Isolation proof mushroom gin (a base di funghi shitake
Isolation Proof Mushroom Gin. a base di funghi shitake

Ai tempi del loro lancio, intorno al 2015, Lobstar e Butcher’s sono stati un divertissement irresistibile. Li provavi, ti sembrava di annusare la pentola del risotto alla pescatora della sera prima o un Crispy McBacon ed eri contento così. Esperienza curiosa. Ma anche basta.  

E invece no. Su quella scia, la palla di neve della bizzarria è diventata una discreta slavina e la mania dell’ingrediente eretico ha preso piede.  

Dai funghi al mare

Sulla stessa linea “gastronomica”, che gioca soprattutto sull’effetto wow del ritrovarsi una certa sapidità nel bicchiere e che sta avendo particolare successo grazie alla fortuna commerciale dei gin umami, ne stanno spuntando come funghi. E non stiamo parlando di Amass (da Los Angeles, con funghi criniera di leone e reishi fra le botaniche, 45 sterline online) e Isolation proof mushroom gin (a base di funghi shitake, 50 euro sui siti americani). 

Parecchi pescano dal mare i loro ingredienti-simbolo e ovviamente le ostriche, da sempre espressione di lusso, la fanno da padrone. Soprattutto in Gran Bretagna, dove spiccano Half shell, gin creato dalla catena inglesi di ristoranti Wright Brothers a partire dai gusci delle ostriche Carlingford, e lo scozzese Isle of Bute Oyster gin, che utilizza le ostriche del Loch Fyne. Entrambi si trovano a 38 sterline. 

Sempre dal mare, anche se dal coquillage passiamo ai molluschi, arriva Dr. Squid: un gin prodotto in Cornovaglia che utilizza “vero inchiostro di seppia” per renderlo nero. Peccato che – se almeno i gin alle ostriche hanno una sapidità intensa che in un Martini cocktail può funzionare – questo proprio non sappia di seppia. E scusate il pasticcio fonetico, oltre al prezzo di 68 euro non proprio pop. 



Chiude il capitolo dei gin “ittici” la sottofamiglia dei prodotti a base alga. Ah, l’alga va forte, quasi come in cucina e in cosmetica. Dalla Sicilia arriva U’Mauru (45 euro), dal Portogallo 585.5 miles (49 euro), dalle Ebridi scozzesi Isle of Harris gin a base di kelp (65 euro), dal Galles St. Davids, Elvenses Sugar kelp gin e Da Mhile Seaweed gin (tutti intorno alle 38 sterline), dal Canada New Foundland Seaweed gin (40 dollari canadesi), dal Giappone Aka Torii (39 euro), che per non farsi mancare nulla ci aggiunge anche il wasabi. Insomma, le alghe crescono ovunque e nessuno vuole rimanere indietro. 

Pascoli e pietre

Un nuovo filone è invece quello caseario, ovvero l’utilizzo di formaggi tra le botaniche. Un abbinamento interessante quello fra ginepro ed erborinati, ma di solito è il gin che entra in creme di gorgonzola o le bacche di ginepro che finiscono nelle tome… Lucius dry, creato da Alfa Spirits, si concentra sul gorgonzola e sulle erbe tipiche della Val d’Ossola e costa 35 euro. Diverso il procedimento della francese Audemus, che invece ha lanciato Umami, con capperi e infusione di Parmigiano.  

Senza contare i tanti gin al tartufo (Wolfrest al tartufo bianco d’Alba, 99 euro; Cambridge truffle gin, 79 euro; Dioniso Italian truffle gin, 55 euro) e al muschio (Gin Ars dalla valle del San Bernardo, 45 euro; il norvegese The Illusionist, 66 euro; il gin Knut Hansen “Vatnajökull edition”, 89 euro), chiudiamo con altre tre macro-categorie. 


Dal Portogallo 585.5 miles, il distillato di alga
Dal Portogallo 585.5 miles, il distillato di alga

Dallo Spazio al frigo

La prima è quella che possiamo chiamare “esperienziale” e che punta su ingredienti particolari non per la loro natura, ma per l’uso che se ne fa. Due esempi: da un lato la supercazzola artistico-turistica di Gin David Italian luxury, filtrato con il marmo di Carrara celebre per le sculture rinascimentali (46 euro); dall’altro la trovata spaziale di Moonshot gin, creato dagli inglesi di That Boutique-y Gin Company con roccia proveniente da un cratere lunare e botaniche mandate nella stratosfera a 20 km di altitudine: 33 euro, un prezzo tutt’altro che stellare. 

La seconda categoria è quella che definiremmo “Bignami culinario”, nel senso che ultimamente è di moda creare gin che ricordino dolci o piatti della tradizione. Esistono due strade per produrli: la prima è quella di utilizzare botaniche che ricordino degli ingredienti, ed è la strada seguita per il Whitley Neill Smoky bacon & horseradish (21 sterline), che riproduce i profumi del bacon affumicato e del rafano, ma non utilizza maiale, quindi va bene anche per i vegetariani, forse un po’ meno per chi cerca un minimo di coerenza nel gin.
La seconda strada è quella di aggiungere proprio le preparazioni culinarie all’interno della ricetta. Come per esempio fa Jaffa cake gin (28 sterline online), che oltre a bucce di arancia e cacao, utilizza proprio i biscotti inglesi omonimi. Il top però lo hanno raggiunto in Toscana, dove nasce il progetto “Dal piatto al bicchiere”: una serie di 4 gin (55 euro ciascuno) in cui vengono utilizzati gli ingredienti di pietanze regionali tradizionali. C’è Panzagin per la panzanella, Panmollo 1912 e i due Old tom: Ribolgin per la ribollita e Ginsanto e cantucci. Quando si dice mangia e bevi… 

Un entomologo al bancone

Chiudiamo con la sezione più estrema, quella che titilla la sfera oscura dell’horror e della perversione. Il primo si chiama Anty gin, è stato creato dalla Cambridge distillery in collaborazione con il ristorante tristellato di Copenaghen Noma e in ogni bottiglia contiene l’essenza distillata di 62 formiche rosse. Si dice che gli insetti saranno il cibo che cancellerà la fame nel mondo? Può darsi, ma di sicuro non la sete: una bottiglia costa 355 euro. Con il secondo invece si ritorna alla “fase anale” dell’infanzia e utilizza come botanica gli escrementi di elefante. Per il sudafricano Indlovu gin, infatti, si raccoglie, essicca e lava la cacca dei pachidermi, che poi viene aggiunta alle altre botaniche. 38 euro. 


Anty gin, creato dalla Cambridge Distillery

Conclusa questa carrellata, senz’altro manchevole di altre pregiate e lodevoli intuizioni distillatorie, viene automatico porre una domanda e dare una risposta. La domanda è: ce n’era davvero bisogno? Davvero il mondo del gin pensa di migliorare così, sventolando ingredienti bislacchi come motivazioni d’acquisto? E quale sarà la nuova frontiera una volta che ci saremo abituati? Il gin all’asfalto? Alle cimici? Ai cadaveri?
La risposta è che no, non ce n’era bisogno ma purtroppo questo vizio è duro a morire, perché la curiosità è una brutta bestia quasi quanto l’ignoranza. Finché il consumatore di gin medio non si sarà stufato degli esercizi di stile che portano zero alla crescita tecnica del mondo del gin, si continuerà su questa falsa riga, e assisteremo a nuovi gin strambi che nasceranno, raccoglieranno il loro coretto di “ooooh” e sorpresa, e infine moriranno nel dimenticatoio.

Formazione scientifica, professione artistica, passione alcolica. Il cognome tradisce le radici lombardo-venete che, se scrivi di spiriti, sono un plus. Collabora con diverse testate e qualche testata la rifila pure, ma rigorosamente solo al pallone.

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