Dal Salone dell’Accoglienza di Riva del Garda una panoramica sulle tendenze spirits tra i professionisti di settore
Ha chiuso con 20mila visitatori, la 48ˆ edizione di Hospitality – Il Salone dell’Accoglienza, la fiera che ogni anno a Riva del Garda riunisce la filiera dell’ospitalità. Visite in crescita dell’8% rispetto allo scorso anno, sia dall’Italia che da altri 15 paesi, per incrociare gli 861 espositori, anch’essi aumentati rispetto al 2023 (+35%). Positivo il bilancio anche per l’area RPM-Riva Pianeta Mixology, che quest’anno ha registrato un aumento di espositori e messo a segno ogni giorno numerosi incontri formativi dedicati a tecniche e distillati.
Soddisfatto il coordinatore di RPM e deus ex machina del Rivabar, Leonardo Veronesi. «Siamo alla decima edizione per l’area mixology. Partiti con 6 aziende dieci anni fa, nonostante il numero di fiere e aree tematiche dedicate alla mixology che stanno aumentando in maniera esponenziale, quest’anno siamo arrivati a cinquanta aziende», dice.
Da parte degli espositori sta cambiando anche l’approccio, sempre più orientato al marketing e consapevole nell’accoglienza dei visitatori. Tra i banchi di Hospitality, liquoristi, distillatori, tanti brand di gin e anche distributori, con i quali siamo andati a fare due chiacchiere per indagare i principali trend dentro e fuori dalla manifestazione, unendo il punto di vista del coordinatore dell’area.
RISTORANTI E ABBINAMENTI
Tra le tendenze rilevate c’è la crescita del consumo liscio, come spiega Paolo Vercellis, brand ambassador spirits di Rinaldi: «Un fenomeno interessante da tenere in considerazione, che è anche un trend. Alle fiere di questo tipo si riscontra un rinnovato interesse da parte delle aziende della ristorazione o di quei bar che fanno anche servizio di spirits lisci. In questo caso possiamo creare quello che veniva chiamato “carrello dei distillati” e che oggi è il servizio neat al bar, che anche i più giovani sono abituate a consumare».
Per quanto riguarda la ristorazione inoltre, le insegne hanno sempre più necessità di formazione sul fronte spirits. «Ci sono proprietà che arrivano con i loro bartender o sommelier. In genere conoscono molto bene il comparto vino, mentre cercano in un’azienda distributiva un supporto per costruire il proprio reparto di spirits interno. Magari hanno una preparazione e conoscono i prodotti, però vogliono sentirseli raccontare per poi essere in grado di raccontarne a loro volta le specificità», dice Vercellis.
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di Eugenia Torelli
Così l’azienda ha lanciato i Rinaldi Days. «Si tratta di giornate per le quali andiamo a selezionare una certa zona, quest’estate, ad esempio, Franciacorta e Piemonte, all’interno di una cantina creiamo un evento al quale partecipano più produttori di vino. Uniamo poi anche tutta la parte spirits. Facciamo miscelazione e degustazione di vini e distillati», spiega Marzio Fruner, sales development manager Nordest.
Proprio in tema cibo, Rinaldi ha iniziato a costruire percorsi di abbinamenti per mostrare le possibilità dei distillati oltre il consumo da meditazione. «È un lavoro che stiamo facendo sul gin, ma anche su tutti gli altri distillati. Con il whisky, più che delle degustazioni, facciamo delle cene sedute in cui vengono servite delle portate abbinate. I clienti finali sono entusiasti perché è un’esperienza che non hanno mai provato, invece i clienti diretti cercano in noi un ruolo consulenziale per avere dei consigli da mettere a frutto nel proprio locale», dice Vercellis.
LARGO ALLA GRAPPA
«La grappa sta crescendo in maniera esponenziale. Le aziende stanno lavorando sempre meglio e anche con il packaging adesso fanno cose stupende» dice Leonardo Veronesi. Stanno poi crollando i pregiudizi sulla grappa in miscelazione, grazie al lavoro di diversi professionisti che portano avanti un serio percorso di ricerca.
«Ovviamente il gin è ancora trainante, ma per noi questa è stata un po’ la fiera della grappa, sia da bere in assoluto che miscelata», dice Stefano Sturani, direttore vendite di Francoli, che nei giorni della manifestazione ha proposto le ricette di Linda Gentilini, barlady dell’Accademia del Gin di Trento, riscontrando apprezzamento tanto nei twist quanto nelle creazioni ex novo. Un processo importante in termini di diffusione del distillato di vinaccia.
«Ci permette di parlarne di più, di raggiungere più consumatori e soprattutto i consumatori del futuro, gli attuali giovani, che oggi fanno sempre un po’ fatica a bere grappa. Proiettandoci tra vent’anni, oggi si può iniziare così, poi tra vent’anni saranno i nuovi consumatori di grappa». E riguardo il prodotto Sturani ha le idee chiare: «Dobbiamo continuare quello che stiamo facendo. Credo che per il mondo grappa le distillerie più importanti del paese debbano fare squadra tutte assieme. Questo ci fa bene perché si tratta del nostro distillato nazionale e così possiamo cercare di darci una mano tutti».
GRAPPA, LA PRIVATE LABEL DI MAVOLO
Proprio intorno alla grappa ruota una delle prossime iniziative di Mavolo. Ne parla Alberto Birollo, spirits specialist dell’azienda veneta di distribuzione. «Stiamo creando delle private label firmate Anthology by Mavolo e stiamo lavorando anche su una grappa. Si tratta di una grappa artigianale, dai profumi floreali e una gradazione volutamente sotto i 40 gradi, così che possa essere un prodotto giovane, facile da miscelare e con un’immagine che si distacca completamente dalla classica idea di grappa».
HOSPITALITY RIVA, MIXOLOGY PROTAGONISTA AL SALONE DELL’ACCOGLIENZA
di Redazione
LIQUORI E AMARI
Non solo grappa. La rinascita degli infusi alcolici nazionali sta raggiungendo bottigliere e selezioni all’interno dei ristoranti. Secondo Stefano Sturani «il ristoratore spinge ancora il prodotto nazionale. Accanto al consolidamento del mondo grappa c’è l’amaro, che in questo periodo sta andando molto bene. C’è una moda nella mixology e anche nella ristorazione sta crescendo».
Una tendenza, quella dell’amaro, che piace anche a Veronesi. «C’è chi sostiene ancora che la liquoristica sia morta e non condivido assolutamente quest’idea. La liquoristica per me ha cambiato veste. Non ci sono più le vodka alla frutta che devi bere da congelatore perché hanno una percentuale zuccherina imbarazzante, oppure gli amari che non rispecchiano i disciplinari e, anziché 100 gr/l di zucchero, ne mettono 2000, poi ti consigliano di berli tirandoli fuori dal congelatore».
«Oggi – prosegue – prodotti come il liquore di grappa alle fragoline che si consumava in montagna non sono scomparsi. Prima erano liquori di cui era incerta e dubbia l’origine degli ingredienti, mentre adesso si è cambia la bottiglia con un packaging più attuale, che magari va a specificare anche la storicità dell’azienda, la frutta è vera frutta, magari autoctona e non vengono impiegati estratti o aromi chimici da laboratorio, gli zuccheri sono controllatissimi.
Abbiamo una tradizione legata al mondo erboristico degli amari e dei liquori, che poche nazioni hanno – sottolinea il coordinatore di RPM -. Finalmente tante aziende hanno capito l’importanza di valorizzare queste cose e dare importanza alla loro storicità. Dalle piccole farmacie liquoristiche alle tante realtà che raccontano i propri territori».
DOVE VANNO GIN E G&T
Sul gin si inizia a rilevare una certa insofferenza, relativa soprattutto al numero spropositato di etichette in commercio, il trend del distillato di ginepro sembra ancora in corso, sia tra i banchi della fiera che tra i consumatori, seppur con delle variazioni.
«C’è uno stallo del gin – rileva Birollo – Lavorarci per molti anni può stancare, ma serve anche a crearsi una certa cultura, che poi diventa la carta velina dell’interesse degli operatori. E questo li spinge a informarsi anche su altri prodotti».
LE PREFERENZE SUL GIN
In fatto di preferenze il direttore vendite di Francoli evidenzia alcune tendenze. «Quello che era il classico London Dry ormai si è sdoganato. Vanno molto i flowery, quindi una bevuta se vogliamo anche più semplice. Ma c’è veramente di tutto, nascono gin tutti i giorni e speriamo sia ancora un bene…», commenta Sturani.
Il G&T però pare ancora in forma, sia al bancone che sulla tavola. «Molti clienti ci chiedono di avvicinare il pairing al trend del Gin Tonic – dice lo spirits specialist di Mavolo – Per fortuna il ventaglio di proposte che abbiamo in catalogo come il nostro permette di avere dei gin che hanno una nota speziata, magari abbinabile a un piatto di crudo, oppure un gin che ha un alcol di base con una parte nobile come la canna da zucchero, un’esperienza unica ad esempio con una tartare».
Rinaldi punta sugli abbinamenti territoriali. «Sul fronte del gin i consumi restano alti da parte dei bar, perché il Gin Tonic non è affatto tramontato, anzi – dice Vercellis – Però c’è una parte sempre più consistente di cross con la ristorazione, abbiamo clienti che fanno ristorazione e anche cocktail oppure clienti che iniziano a farsi l’enoteca ma con una piccola mescita di spirits e alcuni drink più semplici».
Di qui un ragionamento sugli abbinamenti. «Sul gin siamo andati ad associare una tonica per fare degli assaggi di gin tonic, ma anche una serie di tapas, poiché i nostri gin provengono ognuno da una regione d’Italia o del mondo. Andiamo quindi ad associare il pairing diretto di quella regione».
A proposito di gin, Leonardo Veronesi, teme però un effetto “craft beer” e chiosa: «per il momento sta tirando molto il concetto del gin. Prima o poi riuscirà a stabilizzarsi, me lo auguro di cuore. Il bere è una moda, le tendenze cambiano in base alla moda, quindi noi come addetti al settore dobbiamo guardare avanti e cercare di anticipare quelle tendenze. Purtroppo l’Italia arriva in ritardo in un mercato che nel resto del mondo è già in calo. Ciò non significa che il Gin Tonic non venga bevuto, ma è importante continuare a tenere gli occhi aperti sul settore».
Forse questo arrivare dopo dovremmo sfruttarlo per studiare in anticipo i cali di mercato già avvenuti su altri mercati e farci trovare più preparati. Ce la faremo?