L’import nel Belpaese è passato da 75mila a 2,6 milioni di litri in dieci anni. E i distributori puntano sul prodotto premium
Da meno di 100 milioni di litri esportati nel 2000 a quasi 420 milioni di litri raggiunti nel 2022. I numeri parlano chiaro e il tequila (el tequila, in spagnolo) sta “esondando” nel mondo, con gli States a fare da traino – il sorpasso sul whiskey è già avvenuto, soprattutto grazie alla spinta del jet set di Hollywood che sembra essersi innamorato del distillato e del business.
«Il tequila è riuscito a guadagnare popolarità al di fuori dei mercati tradizionali grazie a una maggiore consapevolezza dei consumatori – come sottolinea Riccardo Campagna del distributore spirits Mavolo Beverages – al cambiamento delle preferenze di gusto e a una maggiore disponibilità. In particolare la richiesta di tequila è in aumento in regioni come il Nord America, l’Europa e l’Asia-Pacifico».
Il vero boom parla però italiano. Se solo nel 2012 il Belpaese era il fanalino di coda tra i big europei come destinazione di tequila, fermandosi a 75mila litri, nel 2022 è diventato il bastione dell’agave azul distillata nella regione di Tequila con circa 4,2 milioni di litri arrivati dal Messico (dati del Consejo Regulador del Tequila). E i numeri sono in crescita, considerando che nei primi sei mesi del 2023 le importazioni hanno già raggiunto quota 2,7 milioni di litri.
TREND ESPLOSIVO del Tequila
Appena trascorso il Tequila World Day (a cui abbiamo dedicato un articolo da rileggere a questo link), viene da chiedersi se sia una bolla o un trend destinato a crescere.
«Il trend del tequila è partito vent’anni fa, quando ha iniziato a cambiare pelle grazie al lavoro del Consorzio che ha impresso un cambio di rotta pazzesco, controllando le zone di pregio per la coltivazione dell’agave e portando ad un incremento dei prezzi per i distillati di pregio», rimarca Roberto Marton, che con la sua Eleven Trade distribuisce da anni l’eccellente Clase Azul.
«Il primo impatto dell’onda tequila si è sentito negli Stati Uniti, dove si è iniziato a bere meglio – osserva Marton – e anche tra i prodotti di fascia bassa il tequila è diventato il più costoso. È un distillato ricercato, anche perché l’agave è limitata. Se la maggior parte dei brand di pregio è apparsa negli ultimi 8 anni sul mercato, Clase Azul è nata nel 1998 come emblema di tequila di lusso e per noi è stato in successo riuscire a inserirla in portafoglio».
Nel frattempo Marton ha aggiunto tra le referenze tequila anche Dos Armadillos, «ma arricchiremo ulteriormente l’offerta – preannuncia a Spirito Autoctono – perché già ora il 70% del nostro mercato lo fa il tequila. È davvero cambiata la domanda e oggi nei locali di tendenza il distillato messicano finisce al tavolo al posto dello Champagne. Rispetto al gin, che viene consumato per il 90% in miscelazione, il tequila esce soprattutto in purezza. E se il blanco eccellente rimane attrattivo, i grandi reposado stanno prendendo il posto di un bicchiere di cognac o di whisky al bancone dove conta la qualità» (qui la recente intervista di Eugenia Torelli).
DALLA MASSA AL PREMIUM TEQUILA
Se Roby Marton prevede di delistare 20 gin e integrare l’offerta di Eleven Trade con altrettanti tequila di livello premium, il traino dei distillati base agave è evidente «tanto che in volata cresce anche il prodotto basico, utilizzato prevalentemente in mixology», chiosa il produttore/distributore veneto.
Eppure la visione sull’evoluzione del segmento non è omogenea nella distribuzione. «La spinta del tequila – riferisce Marco Vicentini direttore di Meregalli Spirits – non è così marcata come ci si sarebbe aspettato visto il continuo parlare nell’ultimo decennio. Sicuramente però siamo agli inizi di un distillato che è destinato a crescere». Niente boom dunque? «Nel mercato horeca non più di tanto – replica il manager della distribuzione – e rimane un prodotto non ancora capito dal grande pubblico. Sicuramente cocktail come il Paloma stanno contribuendo ad accrescere la notorietà del tequila». Eppure la spinta a livello di fatturato c’è – conferma Vicentini – tanto più grazie alle partnership. «Abbiamo stretto una collaborazione con NIO Cocktail centrata sul nostro tequila che ha dato un boost alle vendite importante».
La premiumizzazione sembra comunque il trend esplicitamente dominante. «La qualità dei prodotti sul mercato è già mediamente più alta – osserva Vicentini – e sta scemando quel retaggio radicato in chi oggi ha 45/50 anni per cui l’ha sempre visto come prodotto di bassa qualità. Sicuramente però le nuove generazioni possono entrare in confidenza con i prodotti a base agave molto più velocemente».
Qualità del Tequila un valore aggiunto
Secondo Alessandro De Rossi, ristoratore italiano oggi basato in Messico per seguire il suo progetto di tequila premium Mexitas, «il processo di innalzamento della qualità sul mercato è inarrestabile». Se infatti l’export del distillato messicano per eccellenza era principalmente legato a prodotti basic, oggi si è invertita la tendenza. «Fino a 15/20 anni fa il tequila di qualità che arrivava in Europa era il 5% del prodotto – chiosa – e la bevuta era altrettanto basica, dal Tequila Bum Bum ai Margarita senza criterio. Oggi invece possiamo dire che il tequila premium arriva al 50% e oltre. Come distillato nobile è ancora relativamente frequentato, ma inizia a cambiare l’aria».
Secondo Michele Di Carlo, mixologist/consulente e padre del distillato di agave italiano Agalìa, è un «boom limitato». E se è vero che il tequila in Italia si è evoluto moltissimo da inizio millennio, passando da 7 a un centinaio di referenze presenti sul mercato, con un netto innalzamento dello standard generico, secondo Di Carlo è altrettanto vero come si tratti soprattutto di una grossa bolla di marketing. «La spinta si manterrà perché George Clooney con Casamigos ha fatto un’operazione meravigliosa, facendo alzare lo standing – ironizza – e qualche brand è stato abilissimo a cavalcare l’onda degli ultimi anni, arrivando a prezzi assurdi, Eppure da noi non ha senso una esplosione vera: l’Italia è una terra di distillatori meravigliosi, è la patria dell’unico distillato che è buono già all’alambicco, abbiamo una grande storia con cui dovremmo invadere il mondo anziché farci invadere da spiriti di altri paesi».
I RISCHI DEL BOOM
Al di là di come la si pensi, i dati del Consorzio del Tequila sono chiari e mostrano un aumento del consumo su scala globale.
«E l’Italia è uno dei mercati protagonisti di questo aumento, piazzandosi saldamente tra i primi 10 paesi consumatori», sottolinea Cristian Bugiada, ambasciatore del mezcal in patria e in generale focalizzato sui distillati di agave (per rileggere la nostra ultima intervista al barman clicca qui). Il timore dell’imprenditore è però di una fiammata legata alle mode e poco solida. «Approcciando i distillati per ondate so dove si va a finire – specifica – per questo nel nostro locale cerchiamo di rimanere focalizzati su produttori che abbiano qualcosa da raccontare. Io lavoro con tutti, ma credo che il tequila non possa essere solo immagine. Serve attenzione per i produttori che hanno sostanza, perché altrimenti i numeri da capogiro che sono attesi per i prossimi 3/5 anni rischiano di essere una bolla legata ai vip che sono scesi in campo».
Il mercato cresce in modo sano
C’è però un dato che fa ben sperare Bugiada, che con il suo team è tra quelli che ha spinto sulla premiumizzazione. «La cosa interessante rispetto al mercato italiano – spiega – è che i dati mostrano una prevalenza nel consumo di tequila di qualità. Questo mi fa immaginare che il mercato stia crescendo in maniera sana e siamo noi per primi, nel trade e nel rapporto con i consumatori, a dover tenere la barra dritta».
Anche perché la crescita esponenziale del tequila è una corsa a ostacoli contro il tempo. «Sergio Vivanco (della distilleria Viva Mexico) mi ha insegnato come prima cosa che el tequila è l’arte di chi sa apettare – conclude Bugiada – infatti l’agave sconta almeno 5/7 anni di maturazione e questi tempi vanno rispettati. Se però la pressione della domanda diventa eccessiva, potrebbe spingere i produttori interessati solo a fare numeri a utilizzare tecniche alternative per velocizzare il prodotto, a discapito della qualità».