Nella regione di produzione più piccola e dimenticata di Scozia ci sono solo tre distillerie, ognuna propone buoni assaggi.
Della storia di Campbeltown, la Cenerentola diventata regina e poi ricaduta in disgrazia prima di risorgere come la fenice dalle proprie ceneri di torba, abbiamo già detto (qui il link al precedente articolo su SpiritoAutoctono.com). E già abbiamo avuto modo di presentare le uniche tre distillerie attive in questo lembo estremo della Scozia occidentale. Due sopravvissute alla moria di quasi quaranta realtà crollate sotto il peso della crisi, e una riaperta nel nuovo Millennio. Quindi, la nostra parte intellettuale – quella secchiona, che si entusiasma ad imparare nozioni e facezie di dubbia utilità ma assai curiose – è soddisfatta.
Quel che manca ora è invece dar retta al nostro animo più prosaico, quello che di fronte al racconto di questa parte remota di mondo si chiede: sì va beh, ma questi whisky di Campbeltown come sono?
Non c’è una risposta univoca, perché a Campbeltown si producono Single Malt molto diversi fra loro per livello di torbatura, tecnicismi distillatori, corpo e struttura. Quel che li accomuna è senz’altro il carattere, che si potrebbe definire – parafrasando lo stile industrial-chic – “maritime chic”. Note di salsedine, un fumo che si fa a volte più leggero e a volte più acre, e una mineralità che sa trascendere nelle screziature anche sporche. Tutto questo attraverso un gradiente di colori e sensazioni.
Per questo, per dare una risposta vagamente soddisfacente alla domanda “di cosa sa il whisky di Campbeltown?”, occorre provare un po’ di bottiglie. Ecco i nostri consigli.
Hazelburn 10 yo (46%, 60 euro circa)
Hazelburn è stata una distilleria attiva tra il 1825 e il 1925, ed ha perfino detenuto il record di maggiore impianto della città. Dal 2005, la distilleria Springbank produce un whisky con questo nome. La peculiarità è la tripla distillazione, tipica dell’Irish Whiskey, omaggio all’eredità distillatoria dei monaci irlandesi, approdati a Campbeltown nell’Alto Medioevo. Il 10 anni è l’entry level del brand, ma è anche un capolavoro di pulizia. Un naso freschissimo e scattante, con note di frutta bianca acidina che si sposano con una dolcezza minerale, tra il confetto e il gesso. Delicato al palato, ma mai sciapo. Anzi, riesce a mostrare guizzi di cera e una vena sapida incantevole.
Springbank 10 yo (46%, 80 euro)
Rimaniamo nella distilleria Springbank ma passiamo al marchio “principe” della casa, senz’altro il più adorato da appassionati e collezionisti. Il 10 anni è l’imbottigliamento base ed è un assemblaggio di botti ex bourbon ed ex sherry. Il risultato finale è un Single Malt con un livello di torbatura leggera, tra i 12 e i 14 ppm (le parti di fenoli per milione con cui si misura la torbatura). Nonostante la giovane età, è un whisky di grande complessità, in cui l’anima costiera fatta di lana bagnata, salsedine e sabbia umida si incontra con una dolcezza fruttata che ricorda i mandarini e le pesche. Clamorosamente beverino, ma intellettualmente sfidante.
Springbank Local barley (edizioni limitate annuali, prezzi e gradazioni varie)
Qui siamo davanti a un’esperienza, più che a una semplice bottiglia. Innanzitutto perché ogni anno viene rilasciata un’edizione speciale e limitata, quindi con diverse percentuali dei tipi di barili usati, diverso invecchiamento e diversa gradazione; inoltre, perché si tratta di un esperimento filosofico interessante.
In sostanza, per queste release annuali viene utilizzato solo orzo coltivato a Campbeltown o nelle vicinanze. Ogni anno un agricoltore viene incaricato di fornire il cereale, in modo da creare un whisky che rispecchi il “terroir”. Tra i tanti (che nelle versioni tra fine anni ’80 e inizio ’90 raggiungono in asta quotazioni astronomiche), scegliamo l’edizione del 2022: un 11 anni nitido e centrato sul cereale, con spezie e agrumi salati nel finale.
Springbank 30 yo (46%, circa 2.000 euro)
Non è lo Springbank più buono che abbiamo mai assaggiato (il 21 anni ‘Archibald Mitchell’ del 1985, forse la più alta manifestazione possibile del concetto di cioccolato, tempo e abissi marini fusi insieme e messi in un cassetto); non è il più vecchio Springbank mai prodotto (il 50 anni nella bottiglia “a pera” distillato nel 1919 e rilasciato nel 1969). Però è il più vecchio nel core range della distilleria, ed è stato rilasciato proprio quest’anno.
80% barili ex bourbon e 20% ex sherry per un whisky di regale eleganza, con l’oleosità dei grandissimi malti e una frutta evoluta e cerosa, affascinante.
Longrow Peated (46%, 50-60 euro)
Anche Longrow una volta era una distilleria. Oggi invece è il malto torbato (a 50/55 ppm, come Ardbeg) commercializzato dal gruppo J&A Mitchell. Curiosità: quando negli anni ’70 iniziarono gli esperimenti per produrre un Single Malt torbato che rivaleggiasse con quelli di Islay, l’allora master distiller arrivò addirittura a gettare dei pezzi di torba nell’alambicco. Con risultati osceni, ovviamente.
Ad ogni modo, questa espressione è un NAS, ovvero senza indicazione di età, ma si dice che nell’assemblaggio siano presenti whisky dai 7 ai 14 anni. Essenziale, ricco di note bruciate, balsamiche e speziate, rappresenta bene lo stile di Longrow. Anche se il 18 anni invecchiato interamente in botti di Sherry (circa 200 euro) fa comprendere bene come la torba di Campbeltown e lo Sherry Oloroso insieme sappiano dare whisky dal palato carnoso e quasi gastronomico.
Kilkerran 8 yo cask strength batch 5 (56,9%, dai 150 euro)
Rimaniamo dalle parti degli invecchiamenti in Sherry Oloroso ma cambiamo distilleria. Siamo a Glengyle, riaperta nel 2000 sempre dai proprietari di Springbank e diretta da Frank McHardy all’insegna dell’artigianalità. Orzo locale torbato a 15 ppm, maltaggio nella vicina distilleria gemella, fermentazioni lunghe. Impressionanti erano stati i pionieristici imbottigliamenti “sperimentali” rilasciati nei primi anni di vita della distilleria e molto esemplificativi del carattere extra-marittimo del distillato sono il 12 anni base e il 16 anni, l’imbottigliamento più evoluto del range.
Ma è con i rilasci annuali dell’8 anni a grado pieno che si raggiunge lo zenit dell’esperienza totalizzante di Kilkerran. Fra i tanti, spicca quello del 2021, uno dei più intensi Sherry monster di riviera mai realizzati: olive nere al forno in salamoia, tabacco, uvetta sultanina, prugne fermentate e bruciate. Tutto al massimo, tutto tanto.
Kilkerran Heavily peated (edizioni limitate annuali, prezzi e gradazioni varie)
Stessa distilleria, stessa tipologia di batch rilasciati annualmente, ma orzo pesantemente torbato a oltre 80 ppm. Vale la pena assaggiarlo perché è l’espressione più estrema della torba di Campbeltown, il corrispettivo del mitico – e a volte eccessivo – Octomore realizzato dalla distilleria Bruichladdich su Islay, il whisky più torbato al mondo.
In questo caso non siamo a livelli comparabili di molestia sensoriale per il palato, ma senz’altro non aspettatevi un sorso confortevole: fumo acre, braci, un senso di porto freddo e camini accesi, combinato al sostrato dolce del cereale. Esperienziale.
Glen Scotia Victoriana (54,2%, 90-100 euro)
Andiamo nella terza distilleria di Campbeltown, non per nascita ma per qualità. Con il suo whisky divisivo, senza troppi fronzoli e senza paura di apparire sgarbato come un pescatore di aringhe incline all’alcolismo e alla blasfermia, Glen Scotia ci ha messo un po’ a trovare la quadra.
Questo whisky senza indicazioni di età invecchia in botti ex bourbon e fa un affinamento in botti pesantemente tostate o ex Pedro Ximenez. Ed è il perfetto esempio di whisky “moderno”, costruito con un uso ingegneristico dei diversi barili, dosati in varie percentuali. Qui le note sulfuree e metalliche del distillato di Glen Scotia, vengono stemperate in una sensazione di marmellata e aghi di pino affumicati.
Thompson Brothers Campbeltown Blended malt 5 yo (50%, 50 euro)
Cambiamo totalmente sport. Niente più imbottigliamenti ufficiali delle distillerie, ma imbottigliatori indipendenti. Cioè avventurieri che cercano barili interessanti e li commercializzano con i loro nomi e le loro etichette. In questo caso parliamo dei fratelli Thompson, che stavolta non si sono limitati a scegliere un barile di Single Malt, ma hanno realizzato un blend di malti di diverse distillerie di Campbeltown per restituire la “totalità” della personalità del whisky della regione.
Le voci parlano di Glen Scotia “tea spooned”, ovvero con un cucchiaino di un altro malto non dichiarato. Nervoso, difficile, nudo: zone di frutta aspra, ombre minerali quasi di calce, sale e pepe bianco sul porridge. Non lo avevamo ancora detto, ma questo whisky “chiama” un highball come pochi altri.