Come organizzare il tagliere dei formaggi e scegliere le bottiglie da portare a tavola tra Natale e il resto dell’anno
Un detto lombardo recita “la bocca non è stanca se non profuma di vacca” (la traduzione è a favore di chi vive fuori Lombardia) per significare che un pranzo oppure una cena non può concludersi senza un pezzetto di formaggio a “pulire la bocca”.
Vien da sé, quindi, che per chiudere tutti le giornate dedicate al desinare delle feste, niente è più indicato di un tagliere di formaggi. Per un plateau de fromages perfetto i caci vanno disposti a cerchio, partendo dal più delicato al più stagionato e saporito, in numero mai superiore a cinque, accompagnati da marmellate, composte, confetture e miele. E siccome per la tavola delle Feste si deve puntare all’eccellenza ecco, al di là di ogni regionalismo, quattro campioni italiani più un autorevole francese.
Due suggerimenti due. Attenzione alle temperature, elemento fondamentale per godere di profumi e sapori, nel servizio mai superare i 17°. Mai stare sotto, vi perdereste il meglio. E ancora, iI tagliere di formaggi si deve pensare come una portata principale, quindi evitiamo di servirlo come antipasto, appesantisce il palato e la successiva digestione.
Parmigiano Reggiano Dop, il Re di ogni tagliere
Il Parmigiano Reggiano è, senza tema di smentita, il re dei formaggi italiani. Creato nel Medioevo dai monaci che cercavano un formaggio capace di durare nel tempo, la prima traccia scritta, in un atto notarile, risale al 1254. La testimonianza letteraria più nota è del 1344: Giovanni Boccaccio nel Decamerone descrive la contrada del Bengodi e cita una montagna di “parmigiano grattugiato” su cui venivano fatti rotolare “maccheroni e raviuoli”. Dando così un’indicazione dell’uso che se ne poteva fare in cucina. Per essere tutelato dalla Denominazione di Origine Protetta, deve essere prodotto – dalla mungitura al confezionamento – nella zona di origine (che comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova alla destra del fiume Po e Bologna alla sinistra del fiume Reno).
Le diverse stagionature regalano sensazioni aromatiche differenti e lo rendono non solo versatile in cucina. Ma anche il formaggio immancabile in un tagliere a prova di errore. Le stagionature fino ai 19 mesi producono i Parmigiano più delicati, caratterizzati da sentori di latte fresco, yogurt e burro, resi più verticali e intriganti da note vegetali di erba e verdura lessa. Solitamente abbinati a composte di albicocche e pesche, più dolci, sono perfetti anche con l’acidità dei kiwi e con un liquore al mandarino. Il Parmigiano Reggiano di 20-26 mesi, esprime al palato tutte le potenzialità dell’armonia e fonda la sua forza sull’equilibrio tra dolce e salato. La scaglia friabile lo rende adatto a una zuppa, tanto quanto a presenziare in un aperitivo. Mentre nel calice riposa un Amaro Tonic (3 dosi di Amaro alle erbe, Top-Up di Mediterranea Fever Tree).
Quando il tempo comincia ad accumularsi, come per i Parmigiano Reggiano tra 27 e 34 mesi, la stagionatura assume un’impronta sempre più importante. La frutta diventa secca e le spezie si guadagnano il proscenio. Magari in compagnia di un buon Vermouth, come il Nonis Februariis di Franco Cavallero da vino Ruchè di Castagnole Monferrato Docg, e un cioccolato amaro aromatizzato alle ciliegie. Tecnicamente, le stagionature di un Parmigiano sono immense. Arrivano fino ai 10 anni, per ora. Più gli anni si allungano, più la speziatura si ritaglia il ruolo da protagonista, condividendo l’oscar a volte con affumicature davvero interessanti. Un po’ come accade per le Grappe più longeve, che con un 120 mesi (Alberto del Giudice lo ha raccontato per noi QUI), si sposano alla perfezione. Piccola nota logistico-organizzativa per il vostro tagliere: un formaggio così stagionato va nelle ultime posizioni.
Fontina Dop, quella vera
Se il Parmigiano Reggiano è il re dei formaggi, sicuramente la Fontina ne è la regina. Tanto amata e longeva da essere raffigurata negli affreschi del Castello di Issogne (‘400), non ha mai cambiato la sua indole. Nè la sua ricetta. Oggi come allora suoi ingredienti sono solo tre: sale, caglio e latte intero crudo appena munto delle bovine di razza valdostana autoctona. Tre sono anche le tipologie previste dal disciplinare. La Fontina Dop, prodotta tutto l’anno, è la più famosa con le sue forme dalla crosta marrone chiaro e con la pasta dal colore tenue, morbida e dolce al palato. Perfetta da assaggiare mentre si sorseggia una rara grappa di Petit Arvine, come quella prodotta da La Source (Ampolla d’oro per Spirito Autoctono 2024).
La Fontina Dop Lunga Stagionatura viene affinata in grotta per un minimo di 180 giorni, un tempo che ne scurisce non solo i colori ma anche i toni aromatici, leggermente più piccanti al naso e sicuramente più fondenti al palato. Con quale pairing? Il Vermouth a base Aceto Balsamico di Modena prodotto da Giusti, potrebbe decisamente sorprendervi. Ed è più che perfetto anche per la Fontina Dop Alpeggio, prodotta solo in estate da mucche valdostane che pascolano libere fino ai 2700 metri di altitudine. È la più pregiata e la più dolce. Ogni tipo di Fontina Dop si sposa bene con un miele delicato come il millefiori, una confettura di pomodori verdi o un prodotto del bosco. Malleabile nell’abbinamento e mai impegnativa nella costruzione di un tagliere, è esaltata per contrasto dall’uva tanto quanto dai frutti di bosco.
Gorgonzola Dop, il formaggio di Churchill
Nato intorno all’anno 1000 nella cittadina di Gorgonzola, in provincia di Milano, deve le sue origini, secondo la leggenda, a un mandriano. Il lavoratore si concesse una sosta e, avendo dimenticato l’attrezzatura per lavorare il latte destinato a diventare crescenza, lasciò la cagliata in un recipiente per aggiungerla poi a quella del giorno dopo. L’unione delle due “paste” di consistenza diversa provocò la diffusione delle muffe e la storia del formaggio erborinato più famoso d’Italia ebbe così il via. Al di là delle leggende, è sicuramente uno dei formaggi italiani più amati nel mondo.
Era consumato in Francia già nel XVIII secolo, ma è stato con il boom delle casere di stagionatura dei primi del ‘900 che si intensificarono le esportazioni. Tanto da portarlo, nel 1912, sul menu del Titanic (gli inglesi apprezzavano il Gorgonzola, che consumavano a fine pasto) e negli anni ’40 a viaggiare verso la City ogni fine settimana, in treno. Una delle destinazioni era il ristorante della Camera dei Comuni dove, probabilmente, lo conobbe – e se ne innamorò – un giovane Winston Churchill. Le leggende non sono finite. Sembra, infatti, che durante la Seconda Guerra Mondiale contrassegnò con un cerchietto rosso la zona di Gorgonzola, per evitare che i bombardieri distruggessero i caseifici.
Naturalmente privo di glutine e lattosio, è prodotto in versione Dolce e Piccante, il che lo rende immancabile in un tagliere che si rispetti. Il primo è più morbido sia al palato che alla consistenza, lievemente più delicato. Un orizzonte del gusto tranquillo che si ripete nell’abbinamento: un Vermouth come il Naturale Vermouth rosso di Naturale Vermouth Siciliano, intenso ma con il giusto mezzo, sarebbe perfetto. La variante piccante è invece più vicina, nel gusto come nelle necessità di abbinamento ai re di Francia e Inghilterra, il Roquefort e lo Stilton. Le venature sono più accentuate, la pasta più morbida e cremosa, il gusto indimenticabile. Ancor di più se lo abbinate alla Apparg Unaged affinata – grappa a base Brunello di Spirito Fiorentino – o alla Grappa Biologica di Amarone della Distilleria Fratelli Brunello. Entrambe portano nel bicchiere le caratteristiche delle vinacce d’origine, creando un matrimonio unico.
Brie de Meaux Aop, la Francia più elegante
Nel tagliere natalizio non può mancare un esponente d’Oltralpe: il Brie de Meaux Aop. Questo formaggio è parte integrante della storia di Francia. Le fonti lo danno per conosciuto già da Carlomagno, che lo volle nel banchetto della sua incoronazione, mentre Bianca di Navarra, contessa di Champagne, ne omaggiava il re Filippo Augusto. Carlo di Orléans lo donava, si dice, alle dame di corte. Talleyrand, in tempi più moderni, lo consacrò come re dei formaggi nel 1815 al Congresso di Vienna. Originario di Meaux, comune del dipartimento della Senna e Marna nell’Île-de-France antica capitale della Brie, è prodotto con latte crudo vaccino. Si distingue per la pasta molle e la crosta fiorita.
Il suo gusto è tipicamente sapido e cremoso, ricco e intenso che rivela raffinate note di nocciola e sottobosco. La sua messa in forma viene svolta ancora a mano con un particolare mestolo chiamato pelle à brie, in seguito viene salato e lasciato maturare per quattro settimane. Il Brie de Meaux Aop può essere degustato in purezza o essere accompagnato con frutta secca, fichi, frutta dolce, gelatine e petali di rosa canditi. La sua spiccata cremosità solitamente viene abbinata ad altrettanta acidità, come gli Champagne o addirittura le birre Lambic per esempio. Nel nostro mondo spiritoso, osiamo suggerire un rhum agricole, preferibilmente bianco, privo delle morbidezze date dal tempo e dal legno. Potrebbe sorprendervi.
Mozzarella di Bufala Campana DOP, è sempre una festa
Tecnicamente non entra in un tagliere, ed è il motivo per cui l’abbiamo inserita in fondo a questa selezione. Il più famoso dei formaggi freschi d’Italia, però, merita una menzione e un posto nei nostri suggerimenti per i giorni di festa. Tutti l’abbiamo assaggiata almeno una volta, tanto che pensiamo di conoscerla. Non tutti però sanno che è arrivata in Campania con il lungo viaggio delle Bufale dalla Sicilia fino alle campagne di Salerno e Caserta. E che sono stati i Borbone a organizzare il primo caseificio della storia in quello che è oggi il Real Sito di Carditello, uno dei 22 siti reali in Campania, dove si allevavano anche cavalli da corsa.
Più o meno sapida – la Bufala Dop prodotta nella Piana del Sele è più dolce della cosiddetta Aversana -, con la sua pasta callosa e il morso intenso, è un passe-partout. Regina della pizza napoletana, stuzzicante nei fritti, impeccabile nei risotti o raffinata nel ripieno di un tortello fatto a mano. Golosa, nondimeno, in versione gelato. Superba, se mangiata in solitaria. Incomparabile come fine pasto, anzi proprio come dessert. Per brindare all’anno che sta arrivando e, in generale, a un luminoso futuro noi utilizzeremmo il Don Guglielmo 1918, un Vermouth a base di Erbaluce di Caluso, uno dei vitigni del nord Italia che meglio sposano questo formaggio.