Rum, Troppi tropici stroppiano, meno dogmi

Rum tropicale o continentale? La faglia di San Andreas divide gli appassionati

Nel mondo degli appassionati di rum, una faglia di San Andreas spacca la comunità. Si tratta di una frattura insanabile e atavica, che contrappone due ideologie e non ammette diplomazia, come sempre quando si parla di dogmi. In particolare, la fazione più agguerrita è quella per cui il rum deve per forza invecchiare ai Caraibi, perché solo così si rispettano il dna della distilleria e l’anima dei Paesi produttori. E più non dimandare. 

Temperature, tempo e angel share

Ora, la posizione, ancorché drastica, ha un senso. Ai Tropici le alte temperature consentono una maturazione più veloce, pagando il prezzo di un “angel share” più alto. Quindi meno prodotto, pronto in minor tempo. Al contrario, l’invecchiamento continentale prediletto dai mercanti coloniali, che portavano i barili nei magazzini di Liverpool o Rotterdam e di fatto si tenevano i profitti sfruttando i lavoratori delle piantagioni da Cuba alla Giamaica, fa sì che il rum maturi al riparo delle condizioni estreme dei Tropici, perdendo poco liquido e consentendo invecchiamenti anche molto lunghi. Questi i fatti. 

Calice da Rum - Spirito Autoctono

Trarre da queste premesse degli assiomi sulla presunta maggior qualità degli invecchiamenti tropicali, però, è una forzatura. Perché se è vero che l’interazione accelerata fra legno e spirito dona rapidamente intensità – spesso il rum è già pronto e carico dopo 4-5 anni -, si viene a perdere quell’equilibrio che solo il tempo regala. Dire che un rum tropicale di 5 anni è come un continentale di 15 non è vero. Lo sarà forse come influenza del legno, di certo non come equilibrio interno.

Un bicchiere di Rum - Spirito Autoctono

di Marco Zucchetti

Insomma, a costo di fare il difficile e ingrato lavoro dell’Onu, forse è tempo di abbassare le pretese di verità assolute e scegliere la mediazione: rum continentali e rum tropicali sono molto diversi e sarebbe cosa buona essere trasparenti in etichetta. Ma il manicheismo che vuole i primi furbi, colonialisti e artefatti e i secondi puri, terzomondisti e autentici anche no. Come cantava Guccini, “ognuno invecchi come gli pare”. 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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