Florentis: La mi porti un whisky a Firenze

Come sono i primi tre rilasci del whisky toscano firmato dalla famiglia Chioccioli. Anima toscana, spirito mondiale: ecco perché farà discutere

Siccome Stendhal sosteneva che i fiorentini si distinguono per logica, prudenza e spirito, ma sono totalmente privi di passioni, quando all’ultimo Velier Live ci siamo imbattuti nello stand del “Tuscan whisky” Florentis, ci ha punto vaghezza di assaggiarlo e ascoltare la sua storia per sapere se quello screanzato d’un francese avesse ragione. Sicché, vorticosamente sballottati da un mezcal a un armagnac, passando per un rum giamaicano, è con piacere che ci siamo ritagliati qualche minuto di pace ospiti di Winestillery.


Whisky Florentis, i primi tre rilasci del whisky toscano
“Tuscan whisky” Florentis – credits Velier

La storia è presto detta, e già fa segnare un punto contro l’illustre scrittore criticone, perché la storia di Florentis – e ancor prima di Winestillery – è esattamente una storia di passione. Quella della famiglia Chioccioli Altadonna per il vino e l’etica del buon bere. Figlio del famoso enologo Stefano, Enrico era destinato a una carriera da avvocato, quando – dopo un viaggio negli Stati Uniti e un’esperienza lavorativa alla King’s County distillery di Brooklyn – decise che la carriera forense non faceva per lui. Quindi, caro Stendhal, addio al tesserino – “ho fatto domanda di rimozione dall’albo appena l’ho ottenuto” -, studi alle scuole enologiche di Conegliano e Bordeaux, apprendistato nelle distillerie di cognac e infine l’idea: aprire una distilleria in quel della Toscana, più precisamente a Gaiole in Chianti. Passione 1, logica e prudenza 0. Palla al centro.

L’opera di Bacco

I passaggi per l’apertura dell’impianto sono i soliti: l’acquisto di un alambicco – un Frilli di Monteriggioni da 500 litri con colonna, chiamato Bacco – l’ottenimento di una licenza provvisoria nel 2018 e di quella definitiva l’anno successivo, anche se le prime prove risalgono al 2014. La produzione di gin, vodka, vermut e bitter. E intanto, alla faccia della prudenza, nelle cantine tra le vigne, a una temperatura fra i 14 e i 27° e a un’umidità del 50%, invecchiava anche il whisky…


Whisky Florentis, i primi tre rilasci di Winestillery

Ora, l’idea di fare whisky nelle terre del vino non è che di per sé sia la scoperta dell’acqua calda. Essendo l’Italia quasi interamente vocata al culto e al cultivar della vite, già altri ci avevano pensato. Così come non è nuovissima l’idea di utilizzare per l’invecchiamento botti ex vino (da Puni a Psenner fino a Poli, i casi cominciano ad essere molti). Ma senz’altro a Enrico – il master distiller – e ai fratelli Niccolò e Ginevra, rispettivamente enologo e biologa, spetta il primato di aver per primi tracciato il profilo di un whisky davvero toscano, rispettoso della tradizione eppure pienamente sperimentale. Lo dicono tutti? Vero, ma non tutti ci riescono.

Dalla Filosofia

Dopo la parte filosofico-identitaria, quella votata all’acronimo GTD, “grape to glass”, ovvero dall’uva al bicchiere, serve sempre un po’ di tecnica. Ovvero una piccola carta d’identità produttiva del whisky. Che per Florentis, in pieno stile Velier, si accompagna a una trasparenza adamantina in etichetta e nella condivisione delle informazioni. Il mash di partenza è un mix di malto d’orzo, segale e frumento, scelta molto simile a quella di Puni. Il mash tun è da dieci ettolitri, mentre la fermentazione – che dura tra i 6 e i 7 giorni – avviene in anfore di terracotta dell’Impruneta da 7 ettolitri scoperte, utilizzando solo lieviti spontanei.
Il wash che si ottiene (a 7,5%) viene poi sottoposto a distillazione singola in pot still con colonna. Lo spirito che si ottiene è a 75% e viene diluito con acqua di sorgente locale a 63,5% prima dell’imbottamento. Infine, i whisky passano due mesi in acciaio per il marriage finale prima dell’imbottigliamento.



All’empirismo

Senza l’assaggio, però, filosofia e tecnica sono poco. E dunque giusto tratteggiare un profilo dei tre imbottigliamenti che abbiamo provato.
Il primo è stato il Vin Santo wine cask, invecchiato per fra i 3 e i 4 anni in antichi caratelli: un naso unico, profondo, con poca frutta e una dimensione umida e particolarissima, con screziature di caffè e note terrose, quasi di creta, a cui segue un palato speziato (la segale), teso, con note di crema all’uovo e agrumi e un retrogusto terroso che torna nel finale.
Il secondo è stato invece il Super Tuscan wine cask, che invecchia in barrique di vino rosso locale e che sfoggia un profilo più “consueto”, con un naso intenso con frutta rossa e cioccolato e un palato pieno, che si fa masticabile e cremoso, tra caramello, ganache al cioccolato al latte e uno zabaione delizioso che si prolunga nel finale.

Per finire, è toccato a Primo, il primo single cask e il primo whisky italiano distribuito da Velier. Dal barile #888 (barrique ex Super Tuscan di rovere toscano degli storici bottai del Chianti) sono state tratte 318 bottiglie a 50%. Distillato nel 2020 e imbottigliato nel 2024, il whisky ha ancora bisogno di qualche settimana di stabilizzazione in vetro. Ciò nonostante, al naso è già molto espressivo e potente, con un bel mix di frutta (ananas), spezie e pane caldo; al palato si ritrovano le sensazioni avvolgenti del toffee, della liquirizia, della tarte tatin, con un guizzo di pepe. I 279 grammi di congeneri per litro in etichetta confermano la potenza aromatica che il nostro umile naso ha sperimentato.


Florentis, i primi tre rilasci del whisky toscano di Winestillery

Unico e eretico

E dunque, mentre Enrico ci racconta i prossimi passi di Florentis, che si trasferirà in una nuova distilleria pronta ad aprire in centro a Firenze con un nuovo alambicco da duemila litri, a noi – più che a Stendhal – il compito di dare un giudizio. Il quale però deve partire da un caveat preliminare. E cioè, esattamente come per Puni e gli altri whisky italiani, prego astenersi orfani dello Scotch. Nel senso che ha poco senso cercare in Florentis quel che si cerca in un Glenlivet o in un Glenmorangie.

Con questa premessa, i tre rilasci di Winestillery sono sicuramente dei prodotti interessanti, che fanno della loro “differenza” un punto di forza. Intensi, con un apporto volutamente importante da parte delle botti che può anche non piacere – il Vin Santo cask ha senz’altro degli spigoli quasi eretici per un bevitore di Scotch – sono whisky non per tutti, in cui passione e spirito di certo superano logica e prudenza. Santé, monsieur Stendhal, alla vostra memoria.

Questo articolo è tratto da SAM#5. Continua a leggere la versione digitale del nostro bimestrale

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

Potrebbero interessarti