L’inchiesta di Spirito Autoctono sulla crisi del personale. L’entusiasmo dei giovani salverà l’accoglienza. Ma saremo capaci di riaccenderlo
Che il settore dell’accoglienza e dei servizi stia vivendo un periodo storico di importanti cambiamenti è sotto gli occhi di tutti. Se si gira l’Italia da un luogo all’altro, senza compiere alcuno sforzo d’attenzione ci si può accorgere dell’importante cambio di paradigma in atto, e della costante che accomuna città e paesi di provincia: i cartelli affissi alle vetrine delle attività commerciali del belpaese. Tutti, ma proprio tutti, sono alla ricerca di personale.
Vinerie e birrerie, stabilimenti balneari sul mare e chalet incastonati tra i monti. E ancora, bar e gelaterie, hotel e ristoranti, panetterie e pizzerie, chioschi, masserie. Come qualsiasi altra attività del terziario che preveda contatto con il pubblico: è una ricerca trasversale di lavoratori, senza alcuna geografia, che fa pochissime eccezioni.
Un fenomeno da analizzare considerando una verità assoluta che non esiste e le tante variabili. Partendo però da un paio di assunti di cui tener conto prima di cominciare: il mondo del lavoro è cambiato, così come i suoi rapporti di domanda-offerta.
Anche il tipo di esperienza che il pubblico ricerca – ed è disposta a pagare volentieri – ha mutato pelle, tornando a orientarsi verso un’autenticità del bien vivre che spesso – in passato – è venuta meno. Seppellita da sovrastrutture formali e manierismi che oggi appaiono maledettamente impolverati e, probabilmente, superati.
Covid: la tempesta perfetta
Molti hanno riflettuto sul come la pandemia abbia contribuito a incrinare in maniera incisiva piccole e grandi crepe in un “sistema ospitalità” che precedentemente aveva vissuto stagioni scintillanti, sotto le luci e l’attenzione del grande pubblico: i cuochi “rockstar”, il ruolo sempre più importante delle donne e degli uomini di sala, gli istituti alberghieri che facevano il pieno di iscritti, i corsi professionali di mixology e sommellerie che moltiplicavano e collezionavano annate d’oro, speakeasy, wine e drink bar a guadagnarsi il loro meritato “posto al sole” nell’attenzione di una clientela sempre più ampia, e non più solo tra le fila degli appassionati.
Qualcosa nel biennio Covid ha vacillato, l’appeal è svanito e la magia finita, rendendo tutto meno figo, scintillante e appetibile. Il mondo food & beverage si è ritrovato nel mezzo della “tempesta perfetta” con pochissime tutele, clienti che rivedevano le proprie abitudini, desideri, modalità di fruizione dei locali, il tutto senza migliaia di figure professionali da poter impiegare, nel breve periodo – stagionali – e nel lungo. In tanti hanno deciso nel frattempo di lasciare il settore in cambio di maggiore tranquillità e qualche sicurezza in più, e questo è accaduto anche in realtà che già ricorrevano ad un’alta turnazione e ricambi ciclici del personale.
Le due facce della medaglia
C’era da recuperare uno scenario in cui tutti i problemi e le fragilità stavano uscendo allo scoperto, una dopo l’altra. Tassazione del lavoro dipendente particolarmente dispendiosa, crisi energetica e bollette volate alle stelle, inflazione e aumento di costi fissi e materie prime, margini – e guadagni – che si assottigliano, un certa difficoltà a reperire giovani da formare e assumere, e anche un certo lassismo lamentato tra le nuove generazioni. Questo quanto emerso dal punto di vista imprenditoriale.
Dall’altro lato della medaglia: monte ore/giornate di lavoro che sono sempre rimasti molto alti, con poco spazio da poter dedicare alla vita e alle attitudini personali – decisamente diventato uno dei valori più importanti e ricercati nel post pandemia -, formule contrattuali non sempre trasparenti, un nuovo sentire nei confronti delle condizioni lavorative virtuose o tossiche – queste ultime chiaramente vengono evitate come la peste -. Ma anche le possibilità di crescita, di fare esperienze formative e avanzamenti di carriera.
La retribuzione come si nota non è più l’unico o tra i più importanti dei parametri di valutazione nel momento di chiudere contratti di lavoro. Anzi: la rinuncia a una piccola parte di stipendio a vantaggio di condizioni lavorative migliori è un’opzione valutata sempre più frequentemente.
Segnali positivi
Sono tante le soluzioni che negli ultimi tempi si stanno mettendo in campo per poter uscire da questo impasse, anche ora che – secondo il rapporto Fipe/Confcommercio 2024 pubblicato da qualche settimana – gli indicatori economici certificano il significativo miglioramento delle performance di settore, a cominciare dal pieno riassorbimento dell’emorragia di occupati avvenuta durate la pandemia.
Nel 2023 – anno di riferimento – prosegue il recupero della fascia dei più giovani, quelli sotto i 20 anni, e delle fasce di lavoratori più maturi: oltre l’80% dell’incremento dei lavoratori dell’ultimo triennio appartiene a questa fascia di età. Una delle notizie più recenti, e discusse, dal mondo f&b è il trend, da parte di numerose attività italiane ed internazionali, di assumere dipendenti over quaranta e cinquanta. Brevemente: nonostante l’età avanzata sono ritenuti più affidabili, empatici con i clienti, più volenterosi e in generale più inclini a sacrifici “del mestiere” cui i più giovani non sono più disposti.
Eppure ci sono realtà ben rappresentate da “under” volenterosi e lungimiranti, che di questi valori e del nuovo approccio al lavoro sono felici dimostrazioni, permettendo alle diverse necessità imprenditoriali, di vita e ambizioni personali di coesistere. Hanno il merito di correre a velocità di pensiero diverse dal passato, con tempi di azione e reazione fulminei, energie intatte e una certa visione innovativa delle cose del mondo. Sono per la maggior parte composte da team molto giovani, che attirano di conseguenza nuovi coetanei, e hanno creato – o contribuito a creare – luoghi più informali ma non meno attenti al benessere dei clienti e di chi vi lavora, che rimangono i focus di tutti gli sforzi.
La verità al potere
Pensiamo ad esempio al cocktail/bistrot riminese Nécessaire, – locale da cui poi sarebbe partita e sviluppata l’avventura di Trattoria Da Lucio, ed altre belle iniziative collaterali -. Enrico Gori, che insieme a Jacopo Ticchi è socio fondatore dei diversi progetti, pone l’attenzione su una prima – condivisibile – chiave di lettura: “Facciamo un tipo di comunicazione e diamo all’esterno una certa immagine di noi e del nostro lavoro, per questo non abbiamo mai avuto problemi di organico. Da noi curriculum ne arrivano, ma poi ci sono un sacco di persone che vengono in carne ed ossa e si propongono per dare il proprio contributo ai nostri progetti. Come gruppo abbiamo una forza di fondo: da Nècessaire non siamo soltanto l’apparenza di ciò che percepisci di noi sui social.
Quando vieni qui – da cliente o da collaboratore – trovi corrispondenza tra ciò che hai visto e la realtà di ciò che facciamo. Il cibo e i cocktail, da consumare durante momenti diversi della serata, qui hanno trovato nel tempo la stessa importanza, organizziamo durante l’anno diverse serate a tema e collaborazioni con locali e cantine che condividono la nostra filosofia, o eventi come Acido Domingo, che stanno avendo un gran seguito e un’eco decisamente alta – se non ci credete andate a dare una sbirciata ai loro canali ndr -. Tutto concorre a renderci la versione migliore di noi stessi, se poi piacciamo a tanti altri c’è solo da esser contenti e lavorare ancor più sodo”. Forma e sostanza, dunque, e una bella aura di verità.
La Sala, al centro della ristorazione
Trattoria da Lucio non solo ha contribuito – negli ultimi anni – a riscrivere alcuni canoni della ristorazione in riviera, ma in tutta Italia. Ticchi & co. sono stati bravissimi a portare in Romagna un modello di cucina moderno, sfrontato e coraggioso, puntando con tanta decisione anche sull’accoglienza, affidata al talento puro di Giulia Battistini: anche lei è poco più che trentenne, e ha dimostrato visione e un’interpretazione del ruolo di sala che è diventato parte imprescindibile, e indimenticabile, di ciò che ti succede da Lucio.
Ora è in un nuovo momento della vita, a fare esperienza in Puglia, in quel paradiso terrestre che è Masseria Moroseta: i pensieri sedimentati su cui sta costruendo la sua carriera non sono cambiati, anzi, è “Sempre più convinta della centralità che la sala ha intrapreso nelle dinamiche della ristorazione, assumendo un ruolo completo e totalizzante”, come ci racconta.
“L’accoglienza ha cambiato pelle, anche se non c’è una formula più giusta o più vera delle altre, anche rispetto al passato. Quello che è molto diverso è il livello di curiosità da sviluppare che questo mestiere ha messo in campo, coinvolgendo elementi molto diversi tra loro: penso al design, alle storie delle persone e le tradizioni dei luoghi, agli aspetti sociologici, o quelli tecnologici.
Gli stimoli si sono moltiplicati, arrivano da ogni parte del mondo, e chi intraprende questo mestiere deve mantenere l’attitudine a farsi “contaminare” quanto più possibile degli input che riceve, per interiorizzarli e tradurli in gesti che poi si ripercuotano sui clienti e sul loro piacere a tavola. Creare luoghi del genere non è così difficile, se ognuno ci mette le sue migliori vibrazioni”.
Coinvolgimento: la prima regola del gioco di squadra
Scontato, ma non troppo, come anche l’imprenditoria di settore debba essere pronta a incentivare quest’arricchimento personale, contribuendo al flusso degli stimoli, alle velocità del pensiero e al modo nuovo di concretizzarle e in azioni che stiano al passo con ciò che è il nuovo mercato del lavoro: ne parliamo con Ion Chelici, e il maître e direttore di sala del Nostrano, a Pesaro, ci conferma quanto “creare un ambiente di lavoro ogni giorno stimolante sia fondamentale. Sono al fianco del mio chef e titolare Stefano Ciotti da più di 10 anni: per portare avanti collaborazioni così longeve e far funzionare le cose devono crearsi un clima magico e una fiducia straordinaria tra le persone.“
“Chi collabora con te deve innamorarsi ogni giorno del tuo sogno per darti il meglio di sé e qui è una cosa semplice, per l’abitudine – che lo chef ha sempre messo in pratica – di coinvolgere la squadra anche in dinamiche e ambiti che non riguardano da vicino le sfere di competenza di ognuno. È il suo modo di coinvolgerti, di farti sentire importante. Siamo tutti molto giovani, così facendo crei ascolto, dialogo e confronto che diventano le basi imprescindibili per costruire una visione collettiva. Ti responsabilizza e ti offre l’occasione di poter dare il tuo contributo, ti fa rischiare – ogni tanto – e costruire un’identità riconoscibile e granitica del ristorante. Quando tutto scorre in armonia i clienti lo percepiscono, la ristorazione è cambiata ma è rimasta allo stesso tempo un fatto di puro piacere”.
Il dono dell’esperienza
Alex Frezza, titolare de L’Antiquario di Napoli, è invece favorevole all’impiego di barman e barladies “senior”, anche per costruire e instradare le professionalità del presente e del futuro.
“Abbiamo capito che questo mestiere non viene ancora considerato una professione su cui poter costruire una carriera, ma un percorso momentaneo. E si è spezzata la “catena generazionale”: un buco di sei-sette anni nei quali sono stati davvero poche le persone che hanno intrapreso questa strada, chi comincia oggi non ha quindi modelli troppo recenti a cui ispirarsi”.
“Dobbiamo puntare tutto sul diventare una categoria ad alta specializzazione” conclude “e per farlo abbiamo ancora bisogno dell’esperienza dei più maturi ed esperti che continuano a fare questo lavoro, e contribuiscono a dargli una solidità che è venuta a mancare. Fortuna che anche le condizioni contrattuali stiano cambiando così che i locali possano adattarsi al meglio: quando i più giovani capiranno che possono ricavarci delle certezze saranno più propensi a intraprendere questa professione bellissima. Si sistemerà tutto, ma ci vorrà pazienza”.
L’accoglienza ha conservato dunque un ruolo sempre più centrale nelle attività commerciali, un valore prioritario che dovrà preservare centralità importanza e anche nel tempo che verrà.
I luoghi e le esperienze continueranno ad essere costruiti dalle persone, dalle loro storie, i loro gesti, le loro idee. Con qualche doveroso correttivo che ne migliori il presente riaccenderemo scintille, e doneremo a queste professioni il futuro e le avventure che sognano, e che hanno sempre meritato.