In viaggio nelle distillerie di Brown-Forman: si arriva a BenRiach, che ha fatto del “divertimento nell’innovazione” la sua stella polare
Se GlenDronach, come abbiamo visto, è una di quelle distillerie in cui si respira la storia secolare dello Scotch, BenRiach è una di quelle in cui si guarda incessantemente avanti, magari cercando di scrutare oltre le nuvole basse, anche se – come dicono qui con un certo vanto – a BenRiach piove quanto a Barcellona.
Sarà, ma qui di playas se ne vedono poche. Qui, per essere chiari, è ancora Scozia, ancora Highlands, ancora quell’angolo benedetto dalle divinità del malto che si chiama Speyside e dove si accalcano mezzo centinaio di distillerie.
TEMPO, MARE E SHERRY: A ZONZO PER LA SCOZIA
Di Marco Zucchetti
GEMELLA SFORTUNATA
BenRiach – ci racconta ancora Neil Strachan, ambassador del gruppo Brown-Forman che ci accompagna nella visita – venne fondata nel 1898 da John Duff, uno dei “patriarchi” dello Scotch e una delle figure più intraprendenti dell’epoca. Dopo aver disegnato e aperto Glenlossie, se ne era andato a cercare fortuna in Sudafrica e in America, salvo poi ritornare e aprire Longmorn.
Ma a Duff non bastava, voleva creare un vero feudo del single malt e così decise di costruire un’altra distilleria proprio accanto a Longmorn, una “gemella” che condividesse l’acqua con la sorella maggiore. Bell’idea, se non fosse che nel 1899 il cosiddetto “Pattison crash” causò uno tsunami nell’industria dello Scotch.
I PATTINSON
La storia merita una parentesi. I Pattison erano una delle grandi famiglie del whisky di fine Ottocento, quando i blended avevano soppiantato il cognac su scala internazionale. Ogni compagnia, dalla Johnnie Walker in giù, aveva i suoi blended da commercializzare e i Pattison lo facevano benissimo, investendo fortune in pubblicità e marketing, come i 500 parrocchetti africani parlanti addestrati a dire “Buy Pattison whisky” e regalati ai gestori di pub del Regno Unito.
Solo che i passi dei Pattison erano più lunghi delle gambe e a fine secolo, dopo anni di spericolate ipervalutazioni delle proprietà, l’azienda finì in bancarotta, trascinando con sé numerosi fornitori di whisky. Tra i quali, ovviamente, BenRiach.
SILENZIO E RINASCITA
Così, dopo soli due anni di attività, BenRiach fu chiusa e per 65 anni venne utilizzata soltanto come impianto di maltaggio per la gemella Longmorn, per supplire ad eventuali carenze ed emergenze. Un lungo silenzio durato fino agli anni ’60, quando sotto le proprietà di Seagram prima e Pernod Ricard poi BenRiach tornò a fare capolino sulla scena dello Scotch.
Una parentesi breve e non particolarmente fortunata, però, con pochi imbottigliamenti come single malt e una reputazione non eccezionale. Tutto questo, come detto, dura fino al 2003, quando Billy Walker rileva la distilleria e grazie all’ex direttore di produzione Burn Stewart la riporta a nuova vita, puntando su affinamenti particolari e invecchiamenti inconsueti che attirano l’interesse di Brown-Forman.
Il resto, il rebranding e il nuovo packaging estremamente pulito e ricco di informazioni, è storia recente. Ma la voglia di giocare con tutti i barili possibili per creare un’infinità di profili differenti è la stessa.
TRE IN UNO
Anche qui i lavori di ristrutturazione e ammodernamento fervono, quindi la visita procede un po’ a singhiozzo, tra zone chiuse al pubblico e muletti indaffarati sotto il classico drizzle, la pioggerella che ti infradicia senza bagnarti.
Il mash tun è in acciaio, mentre la fermentazione dell’orzo (varietà Optic e Concerto) dura tra le 48 e le 50 ore e avviene in 8 washback in acciaio da 30mila litri. Gli alambicchi sono 4 (le consuete due coppie di wash still e spirit still) e la loro capienza è di 15mila e 19mila litri. Solo che a differenza di GlenDronach – e di quasi tutte le altre distillerie scozzesi – dagli alambicchi di BenRiach escono tre diversi tipi di distillato.
DISTILLAZIONI E TORBA
Già, perché qui si produce il classico single malt distillato due volte, un single malt distillato tre volte come gli Irish whiskey e perfino un single malt torbato. Anzi, a essere precisi BenRiach vanta il più vecchio stock di whisky torbato dello Speyside. Negli anni ’70, infatti, qui veniva usato malto torbato con torba locale, sostituita per qualche tempo da torba di Islay, quindi marina, negli anni ’80. Si diceva della passione per gli esperimenti, no?
Mentre passeggiamo intorno alla pagoda (chiamata tecnicamente Doig Ventilator), ci avviciniamo alle warehouses. Sono una fila infinita che arriva fino a un altro edificio da cui esce un familiare fumo. Dalla numero 1 alla 8 sono i magazzini di Longmorn, dal 9 in poi, quelli di BenRiach. Da una finestra si intravvede il malting floor, disattivato e poi riattivato e ora utilizzato per alcune release speciali in cui il maltaggio avviene in loco.
Nelle warehouses, infine, riposa una mole impressionante e piuttosto caotica di barili, che per candida ammissione di Neil “vengono messi un po’ dove c’è spazio”. Il risultato sono magazzini stracolmi di barili variopinti, i cui i coperchi di vari colori indicano se quelle botti sono di primo, secondo o terzo riempimento.
La produzione annuale di BenRiach è di circa due milioni di litri di alcol, mentre l’angel share, la quota di whisky che ogni anno evapora attraverso le doghe del legno e che secondo la tradizione viene tracannata dagli angeli, è del 2,5%.
QUALCHE ASSAGGIO
Complici i lavori in corso che hanno reso la visita un po’ frastagliata, la degustazione si protrae per più tempo. E – ça va sans dire – per più assaggi.
Si inizia con un imbottigliamento della nuova serie chiamata Malting Season. Si tratta della terza edizione, orzo Concerto invecchiato in rovere americano. Un whisky fresco e giovane, con note di pera, orzata e limone, molto nudo e fragrante, a cui segue un palato pulitissimo e fresco, centrato su cereale, mela verde e limone, con una interessante venatura erbacea.
Il secondo assaggio è il 16 anni, che matura in un mix di botti ex bourbon, ex sherry ed ex virgin oak. Qui l’ingegneria dei barili è più artificiosa, note di cocco e vaniglia si mescolano a un guizzo acidino di maracuja; il palato invece è più tostato, con una spezia più evidente (zenzero, noce moscata) e sensazioni fruttate di pesche e albicocche. Non del tutto centrato il finale, un po’ corto e polveroso.
Il terzo whisky è un Distillery Exclusive in vendita solo al visitor centre e realizzato per il festival Spirit of Speyside: un 18 anni invecchiato in botti ex porto, il “pallino” di Rachel Barrie. Come spesso accade con gli invecchiamenti in porto, bisogna mettere in conto una muraglia di note tra l’astringenza e il cacao, la liquirizia pura e i tannini. Al naso guizzi di marzapane, zuppa inglese e maraschino, mentre al finale vira all’amarognolo, con ancora marmellata di ribes e genziana. Divisivo.
I TORBATI
È tempo di torbati, e dunque ecco il 12 anni peated, invecchiato in bourbon, sherry e marsala: interessanti sfumature di wurstel e barbecue americano, coperto da miele di castagno. In bocca è dolce, caldarroste e carne di maiale, vino bianco e pesche cotte. Oleoso, con un finale di legno di sauna. Interessante.
Si passa poi allo Smoky Ten, il 10 anni che matura in un mix di botti ex bourbon, virgin oak e rum giamaicano. Qui la torba è più distinta e piena, cenere e frutta bianca per un whisky molto fresco in cui la melone bianco, carambola e pera la fanno da padroni, prima di un finale di fumino sapido.
Tempo del gran finale. Il 25 anni invecchia in 4 tipi di barili: bourbon, sherry, virgin oak e madeira. Al naso è un tripudio di frutta secca, nocciole e castagnaccio con una bella sensazione vinosa. Un falò aromatico e speziato ti porta per mano dentro il palato, dove esplode lo zabaione, con pepe e un tocco di mandorla. Eccellente il finale, con legno, pasta di mandorle e gianduia.
Penultimo è il Triple distilled 14 anni, distillato nel 1990, che profuma deliziosamente di inverno, tra cannella e marmellata di ribes e lamponi. Il palato è intenso e masticabile, ancora marmellata, uvetta, Christmas pudding e crema all’uovo, con una gradazione perfetta e un finale di cacao e spezie semplicemente eccezionale.
Fuori concorso una bottiglia d’epoca, un BenRiach leggermente torbato distillato nel 1978 e imbottigliato nel 2007 dopo un trentennale invecchiamento in botti ex Tokaij. Muschio, funghi, una dolcezza di datteri e fichi che si mescola a un tocco umami rendono questo whisky unico. In bocca ci sono ancora le note di fichi secchi, melassa e spezie dolci, ma non sparisce la sensazione di funghi e cacao. Un finale lungo, di salsa di soia e tannini, per un dram inimitabile.