Cesar Martì, il più giovane Maestro Ronero cubano della storia e creatore di Eminente
Il peso del ventennale ricordo di Cuba Libre drammatici tracannati in discoteca aleggia sull’incontro. La presentazione dell’ultima referenza di rum Eminente, in una meravigliosa dimora milanese nascosta dagli sguardi e dai curiosi come spesso succede agli angoli più esclusivi della città da bere, riporta il rum cubano al centro del villaggio globale e del discorso spiritoso.
Eppure, mentre si ammira la splendida bottiglia di rum, non si può fare a meno di pensare a cosa significhi per una certa generazione il rum cubano. Quali fantasmi evochi. Ovvero quelli di rum industriali versati con l’idrante in bicchieri di plastica, sepolti da ghiacci miserandi e infine annegati con cole da quattro soldi quando ancora la “cultura del bere” era di là da venire, e c’era spazio solo per una dittatura della sbronza malvagia al suono di Gigi D’Agostino.
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Insomma, accostare il rum cubano a concetti di qualità, esclusività e lusso, superando i pregiudizi, è difficile se si pensa agli ultimi Bacardi e Havana Club. Per questo conoscere di persona l’uomo che può aiutarci a comprendere come il distillato di canna di Cuba stia cambiando pelle è al tempo stesso interessante e sfidante.
César Augusto Martí nel 2021 è diventato il più giovane Maestro Ronero della Isla de cocodrilo, come è affettuosamente chiamata Cuba per via della sua forma che ricorda uno dei rettili che abbondano nelle paludi delle Zapata Swamps. Per raggiungere il titolo onorifico, ci ha messo solo nove anni, roba da record. Il Maestro Ronero è una figura quasi religiosa a Cuba, uno dei quattro elementi magici del rum. Oggi siamo alla nona generazione e nella storia se ne contano solo 28. Piuttosto esclusivo, come club.
Incontriamo César appunto nella Residenza Vignale, una palazzina di inizio Novecento che forse non ricorda le haciendas caraibiche ma di sicuro è una gioia per gli occhi.
Come si diventa il Maestro Ronero cubano più giovane di sempre?
«Ho avuto la fortuna di nascere lì, nella provincia Centrale di Villa Clara, in un mare verde di canna da zucchero (sorride). Sono cresciuto in una famiglia strettamente legata all’industria dello zucchero, mio nonno era direttore di produzione in uno zuccherificio. Ricordo che da piccolo mi portava per mano a conoscere ogni cosa di questo mondo».
Poi però ci ha messo del suo…
«La tradizione in cui ero immerso mi ha motivato a scegliere un percorso di studi. Mi sono laureato in ingegneria chimica e mentre studiavo lavoravo in azienda, così ho avuto i primi contatti con questo sapere tecnico secolare».
Ha avuto un modello da cui trarre ispirazione?
«Senza dubbio Don Navarro, il padre del rum cubano (José Pablo Navarro Campa, scomparso nel 2020, considerato El Primero Maestro, ndr). Lui mi ha trasmesso l’importanza culturale ed economica del rum per la nostra gente. Mi ha fatto capire che il rum è la rappresentazione stessa di Cuba».
Quanto ha influito però la sua formazione scientifica?
«Io mi sono sempre sentito il depositario di un’eredità artigianale, di un saper fare che viene trasmesso di generazione in generazione. La laurea in chimica e poi il dottorato sull’interazione fra spirito e legni mi hanno consentito di approfondire le dinamiche dell’invecchiamento e di capire perché il rum cubano si è sempre fatto così. In modo da comprendere anche come possa evolversi, così da non rimanere sempre identico a se stesso».
La produzione di Eminente – che è anche espressione di uno stile a metà fra i rum cubani orientali più leggeri e quelli dell’Avana più intensi – è particolare, si basa sulle “aguardientes”. Ci spiega cosa sono e perché sono così importanti nel risultato finale?
«L’aguardiente è l’anima del rum, il suo fedele compagno. Si tratta del distillato di melassa grezzo, una bevanda che storicamente era consumata da schiavi e contadini. Almeno fino al 1862, l’anno in cui è nato il ron ligero cubano».
Con Don Facundo Bacardi, che per primo trovò un modo di “ingentilire” il distillato…
«Esatto, la vera svolta culturale è avvenuta in quel momento e il distillato di canna ha iniziato ad essere apprezzato anche dalla casa reale spagnola».
Dicevamo dell’aguardiente: tecnicamente, in cosa differisce dal rum?
«Il fermentato di melassa viene sottoposto a distillazione in colonna continua a due zone: frazionamento e concentrazione. Il risultato è un distillato a 75% ricchissimo di congeneri e aromi, che per disciplinare deve invecchiare. Noi scegliamo barili ex bourbon whiskey. Il rum bianco light invece è distillato a 95% e passa attraverso tre fasi: depurazione, rettifica e recupero. Ed è utilizzato per il blend. Eminente utilizza il 70% di aguardientes, quando la media raramente supera il 20%, e questo spiega il suo carattere».
Il rum cubano – come anche la grappa – negli ultimi decenni del secolo scorso ha vissuto un periodo di cattiva nomea: prodotti industriali poco entusiasmanti che lo hanno fatto percepire negativamente. Concorda?
«Il rum cubano è molto diverso dai pot still giamaicani o dai Demerara, più pesanti. È nato per essere leggero, appunto, nello stile dei cosiddetti rum ispanici. Negli anni è cresciuto in termini di volumi. Io credo che oggi sia molto migliorato in termini di sapori, sensazioni e texture. E che possa essere glamour. L’obiettivo di Eminente è mostrare al mondo che il rum cubano sta vivendo una nuova alba. Il nostro processo produttivo è unico e irripetibile, non utilizziamo acceleranti di invecchiamento, né essenze, né aromi artificiali…».
…che invece purtroppo nel mondo del rum sono spesso tollerati…
«Esatto. L’idea è fare un salto di qualità e un passo verso il consumatore, che cerca più trasparenza».
Cos’è il rum per voi cubani?
«La vita! Come per voi il vino. Non c’è vita senza rum a Cuba. Compleanni, nozze, feste popolari: può cantare anche il più grande artista mondiale, ma se non c’è il rum… E poi c’è la ritualità».
In che senso?
«Ai funerali di chi ha lavorato o vissuto nell’industria del rum, si saluta il defunto con un bicchiere. C’è una dimensione quasi mistica, anche in altri aspetti: quando si apre una bottiglia, il primo sorso va versato per terra, per ringraziare i santi. Chi conosce il valore culturale del rum si riconosce da due cose: quando si riempie il bicchiere, va lasciato sul tavolo, non tenuto in mano, perché non bisogna interrompere il contatto con il suolo, la terra, gli avi; e quando si versa, lo si fa con la mano sinistra, che è la più vicina al cuore. Piccoli gesti che fanno parte di un rituale».
Parliamo del suo argomento di dottorato, il legno. La cura per la ricerca della botte è più comune nello Scotch single malt, meno nel rum. Vuole rivoluzionare anche questo aspetto?
«L’invecchiamento del rum cubano è sempre avvenuto in maniera ripetitiva e tradizionale, senza troppo pensarci su. Studiare e comprendere cosa avviene nel barile, come l’alcol reagisce a contatto con il legno, cambia le cose. Il barile è un affascinante reattore discontinuo, in cui l’interazione diffusionale e chimica tra legno e liquido varia a seconda delle condizioni di umidità, temperatura, ecc. La conoscenza scientifica ci permette di prendere decisioni ponderate e di creare nuove sfumature, controllando i vari aspetti, dal tempo alla temperatura appunto. Così da creare prodotti in cui gli aromi tipici di Cuba possano emergere».
Questo è il segreto di Eminente Gran Reserva?
«Il fatto di invecchiare dieci anni e l’affinamento di tre mesi in botti di rovere francese sicuramente è decisivo. Il resto lo fa Cuba…».
Il suo è un approccio quasi enologico. Davvero il terroir conta anche nel rum?
«Non lo dico io, lo scriveva Cristoforo Colombo. Che ai re di Spagna scrisse: non ho trovato l’oro, ma l’oro bianco. Ovvero la canna da zucchero. Cuba ha avuto il dono della canna: la temperatura stabile, il sole, le precipitazioni, una terra fertile perfetta per questa coltura».
Quali sono le nuove sfide di Eminente?
«Intanto iniziamo con il Gran Reserva, che mischia arte, scienza e autenticità e si va ad aggiungere all’Ambar claro e al Reserva 7 anni. Presto arriveranno altre referenze, alcune giovani e alcune in edizioni limitate. Diciamo che la passione non manca e non ci fermiamo qui, abbiamo molto da mostrare».
Gran Reserva è senz’altro un rum da godere liscio, ma se dovesse consigliarlo in un cocktail?
«Riguardo alla mixology, l’idea di Eminente è mettere in mano ai bartender una gioia che consente loro di giocare e creare nuove visioni di Cuba. Siamo il Paese in cui sono nati tre classici immortali come il Cuba Libre, il Mojito e il Daiquiri, ma c’è sempre qualcosa di nuovo da inventare. Uno su tutti, il drink Adam y Eva, premiato recentemente: rum Eminente, liquore alla mela, succo di mela, Campari e vermut».
Ultima domanda: il rum ha finalmente raggiunto il whisky nell’immaginario dei “brown spirits”?
«Credo di sì, perché ha recuperato la sua storia. Il rum cubano ha una tradizione secolare che è arrivata fino a noi, arricchendosi di nuove suggestioni. La nostra generazione ha il compito di conservarla e suggerire una nuova prospettiva. Una nuova alba, appunto».
(Foto di copertina: © Eleonora Proietti)