Dalle degustazioni finali di Mombaruzzo, i numeri della nuova edizione e i trend di un prodotto italiano in grande crescita qualitativa, oltre a qualche riflessione sulla promozione del settore
Quattro giornate per riunire i giudici e attraversare, ancora una volta, lo Stivale tra i calici, chiudendo un lavoro che per tutta l’estate ha impegnato logistica e commissioni d’assaggio in giro per l’Italia.
Questo l’obiettivo delle degustazioni finali, che a Villa Prato – relais della famiglia Berta a Mombaruzzo (AT) – hanno decretato il computo finale di Ampolle d’Oro della terza edizione di Spirito Autoctono La Guida, in uscita a marzo 2023. Assaggi al ritmo delle alzate di mano, da cui emergono tendenze e considerazioni su un comparto che «comincia a credere in sé stesso», di fronte alla sfida di far durare l’onda, oltre a cavalcarla.
105 nuove Ampolle d’Oro e numeri in volata
Sono 105 quest’anno le referenze spiritose che ottengono il massimo riconoscimento in Guida, 6 in più rispetto a quelle dell’edizione 2022, per un fenomeno che sembra prendere il volo. A registrare la crescita più significativa sono le etichette che entrano nella Guida 2023, oltre 450, selezionate tra le circa 900 degustate dalle 11 commissioni territoriali e dalla commissione finale. In raddoppio rispetto alle 220 dello scorso anno. «A differenza dei vignaioli i distillatori non erano abituati, ma noi di Spirito Autoctono siamo stati tenaci», commenta Francesco Bruno Fadda, curatore nazionale di Spirito Autoctono La Guida e direttore di Spirito Autoctono Il Magazine.
«Possiamo dire di aver fatto breccia in un settore complesso, fatto di anime molto diverse tra di loro e i numeri ci danno ragione – spiega – Se da un lato le cifre ci raccontano di un settore in fermento e che finalmente comincia a credere in sé stesso, ovviamente c’è un altro numero a cui dobbiamo prestare attenzione: 105, ovvero le Ampolle d’Oro. Visto che i nostri assaggiatori non sono diventati di manica larga, anzi, posso a ragione dire che è la qualità media dei prodotti italiani ad essersi innalzata».
Da sinistra, Vanessa Piromallo e Francesco Bruno Fadda
L’attenzione all’equilibrio
Solo 25 tra le Ampolle d’Oro sono state decise direttamente dalle commissioni territoriali, mentre le restanti 80 sono state votate in occasione delle degustazioni finali. Una quattro-giorni che ha riunito a un tavolo 15 giudici, tra commissari regionali e ospiti, a giudicare batterie di liquori, amari, vermouth e distillati – rigorosamente alla cieca. Il risultato è un confronto tra punti di vista, che a volte convergono e a volte proprio no. E dagli assaggi emergono soddisfazioni, delusioni – qualche volta ci sono anche quelle – e anche il positivo stupore, che in molti casi non manca al momento di scoprire le bottiglie.
«Degustare e valutare una lunga fila di bitter, vermouth, grappe, gin ecc non è mai una cosa semplice. Esiste un peso, una responsabilità che, anche tra le battute e le risate, ci ha accompagnato per tutte le finali», dice Paolo Campana, commissario regionale, che sottolinea: «scoprire il piacere e la ricerca dell’equilibrio tra parte alcolica e botaniche è stato un viaggio condiviso». A spiccare in maniera universale, è infatti una maggior attenzione dei produttori al bilanciamento, sia gustativo che olfattivo. «Anche chi utilizza botaniche che possono stupire ed essere divisive, cerca di integrarle», afferma il commissario Marco Zucchetti.
Dalle grappe ai navy strength, le tendenze per tipologia di prodotto
«La tipologia di prodotto che più mi ha stupita in positivo è quella dei liquori – dichiara la commissaria Vanessa Piromallo – perché cura e attenzione per la qualità, il bilanciamento del gusto e l’apporto zuccherino sono aumentate notevolmente negli ultimi anni, permettendo di scoprire vere e proprie perle autoctone, purtroppo ancora per nulla conosciute al di fuori del territorio». Se, tra liquori e amari il necessario contenuto zuccherino è stato in molti casi ricalibrato, la componente dolce risulta comunque ancora trasversalmente presente e talvolta eccessiva. Una sorta di controtendenza rispetto ad altri settori, come quelli del vino e della birra.
Al centro di una rivoluzione qualitativa, la categoria delle grappe. Lo rileva Marco Zucchetti, secondo cui «le vinacce in particolare sono sempre rispettate, il che può solo fare bene al movimento dei grappaioli, che troppo spesso ancora si trova a dover scontare la diffidenza nata nei consumatori per metodi produttivi industriali e sgarbati, che appartengono al passato».
Protagonista di un vero e proprio boom, è il settore dei gin italiani che quest’anno sembra spingere la riscossa qualitativa dei navy strength, categoria che stupisce tutti. «Li ho trovati belli, pieni al palato, diretti, lunghi; al naso un alcol non fastidioso, ma che anzi dà una buona spinta agli aromi», commenta Davide Oglietti, commissario regionale. Lo segue il commissario Giambattista Marchetto: «I gin ad alta gradazione convincono per la capacità di esprimere una potenza raffinata, frutto del lavoro certosino dei distillatori». E aggiunge, «anche gli amari stanno vivendo una rivoluzione positiva, meno dolcezze e più territorialità rispetto all’omologazione di qualche anno fa».
Segnali di rimonta anche tra i vermouth e i bitter. «Si tratta di tipologie in rimonta, che stanno dimostrando una qualità e una varietà altissima – dice la commissaria Manuela Chiarolanza – mi auguro che sempre più professionisti, soprattutto in campo mixology, amplino la scelta dei prodotti italiani nelle proprie bottigliere».
Da sinistra, Marco Zucchetti e Davide Oglietti
Berta: “la sfida della promozione internazionale per ampliare la nicchia”
Al netto delle degustazioni e di un trend qualitativo in crescita in tutte le tipologie di prodotto assaggiate, resta una considerazione più ampia da fare, che riguarda la consapevolezza dei produttori e anche la comunicazione degli spirits italiani. Fatti salvi i casi di alcuni grandi nomi, e delle poche realtà consortili e associative nate sul territorio nazionale, il comparto italiano resta infatti sottovoce rispetto ai colossi internazionali che vincono per potenza commerciale e di marketing. Così che, tra piano della comunicazione e piano della qualità, l’impressione è che i quadri si ribaltino.
«Ci sono due aspetti che riguardano la promozione degli spirits italiani di qualità – dice Enrico Berta, alla guida delle Distillerie di famiglia – Da un lato, il far capire alle persone le differenze tra un prodotto di alta qualità e un prodotto di scarsa qualità; dall’altro, laddove si impara a bere meglio, viene automatico diminuire le quantità. Quindi la seconda funzione è proprio quella di introdurre a un percorso di consumo responsabile».
Pioniere nell’invecchiamento della grappa e tra i produttori di riferimento a livello nazionale, le Distillerie Berta esportano le proprie etichette in tutto il mondo, posizionandole soprattutto nel canale horeca. Attorno al prodotto hanno costruito una strategia internazionale che, oltre al lato commerciale comprende anche quello turistico, con un Museo e spazi riservati a visite e degustazioni nella sede produttiva, oltre a un relais e a una nuova struttura inaugurata questa primavera e interamente dedicata agli eventi. «La grappa è il drink made in Italy per antonomasia, non si può chiamare grappa da nessun’altra parte al mondo – dice il patron di Berta – e ad oggi c’è ancora molto lavoro da fare per comunicarla e farla crescere. Rimane un prodotto di nicchia. La sfida è allargare questa nicchia e farla conoscere a un numero ancora più ampio di appassionati». E riguardo ai prodotti italiani aggiunge, «il livello di consapevolezza del prodotto italiano è alto non solo in Italia: questo grazie alle generazioni di emigrati italiani all’estero che hanno compiuto un’operazione culturale, esportando la nostra cucina e i nostri prodotti e portando i local ad innamorarsene».
Non resta quindi che continuare l’opera avviata, per un settore che vive un’ascesa e una graduale presa di coscienza delle proprie potenzialità oltre che del proprio valore.
La barricaia delle Distillerie Berta