Il fondatore di Strada Ferrata lancia il suo nuovo progetto: distillati e liquori fortemente territoriali, che viaggeranno insieme alla birra
Classe 1965, una laurea in Agraria, “birraio casalingo” sin dai primi esperimenti ai tempi della scuola elementare. Il nome di Agostino Arioli nel mondo della birra artigianale italiana è storia. E non solo perché ha fondato nel 1996 il Birrificio Italiano, ma perché sotto quell’insegna continua a fare innovazione. Inventore della Tipopils, la prima pils con Dry Hopping al mondo, ha l’innovazione – e forse un po’ anche l’alchimia – nel suo dna.
È evidente dal suo percorso professionale. Anche quello più recente: nel 2019 fonda Strada Ferrata, lanciandosi in una nuova avventura dal profumo alchemico, la distillazione. Basteranno pochi anni di studi e programmazione ed ecco che nel 2021 arrivano le prime distillazioni. Oggi il suo percorso di vita l’ha portato ancora altrove. Ha fondato il suo Birrificio Italiano Spirits, che già molto sta facendo parlare di sé con etichette come il pluripremiato Amaro Marasso, e che verrà ufficialmente presentato il prossimo 28 ottobre. Per Spirito Autoctono racconta in anteprima il suo progetto.
Dalla birra a distillati ultra contemporanei. Come nasce l’idea e la passione della distillazione moderna in Agostino Arioli?
“Ho fatto parte di Strada Ferrata, una distilleria di Seregno che ho fondato insieme ad alcuni soci. Qui ho lavorato per anni su vari distillati, compreso il Whisky. Quel viaggio per me è terminato. Ero in disaccordo sulle evoluzioni societarie e ho deciso di andare oltre. L’entusiasmo per il lavoro fatto in quegli anni, però, in me non si è mai smorzato, ho continuato a lavorare e a studiare sui temi che mi erano cari. Il mondo dei fermentati, della distillazione, dell’invecchiamento, del blending e del lavoro sperimentale sulle materie prime. Da qui sono nati l’Amaro Marasso e il Capparis, creato a partire dall’estrazione degli aromi dei capperi direttamente in alcol, che entreranno a far parte in maniera permanente nel portfolio di Birrificio Italiano Spirits, fin dal lancio del 28 ottobre, insieme al Drytto, un London Dry Gin da 45% alcol che completerà la gamma base”.
Un lungo viaggio che è ancora decisamente in corsa. Cosa la guida?
“Fin dagli albori, la curiosità e il desiderio di migliorarmi costantemente. Quando mi sono appassionato alla distillazione sono andato in profondità, ho studiato la macerazione delle botaniche, il dosaggio delle stesse tanto quanto il bilanciamento di quello che è l’alcool di base. Ogni volta che mi lancio in un lavoro, in un nuovo studio, cerco di chiedermi sempre quale sia l’obiettivo finale, l’utilizzo che immagino per quel prodotto, in modo da poter utilizzare al meglio – e far utilizzare al meglio – i miei liquori e distillati”.
C’è un punto di rottura, di diversità, rispetto al suo percorso passato?
“Assolutamente si. Rispetto a quello che era il progetto Strada Ferrata ho cambiato marcia, non mi lancerò più nel mondo della produzione di Whisky, ma mi concentrerà esclusivamente su altre tipologie di distillati di alta qualità qualità; ciò che ho potuto creare nel mondo Whisky è rimasto di proprietà del marchio Strada Ferrata. Inoltre attualmente l’investimento necessario per produrre questo tipo di distillato è qualcosa che non mi sento di fare, che non mi diverte, differentemente invece dal lavoro che richiedono i prodotti che lancerò con Birrificio Italiano Spirits”.
C’è un accordo di non concorrenza o è una scelta creativa quella di non investire sul prodotto Whisky?
“Non c’è nessun accordo, sarei libero, se volessi. Però non ho nessuna intenzione di investire in una distilleria – tutte le etichette di Birrificio Italiano Spirits sono esternalizzate presso distillerie di fiducia di Arioli, ndr – e allo stesso momento non voglio farmi produrre Whisky conto terzi. È una decisione che ho preso principalmente per motivazioni imprenditoriale: produrre questo tipo di distillato, da invecchiamento, è molto costoso, richiede di immobilizzare il capitale per almeno 5 anni. E non è il momento”.
Una risposta sincera e concreta, dato il periodo economico attuale. Ma anche controcorrente, nell’anno di maggiore espansione del Whisky italiano.
“Sono investimenti troppo grandi, che alla mia veneranda età – Agostino Arioli ha 58 anni, ndr – non ho più voglia di giocarmi il tutto e per tutto in un progetto simile. Continuo a frequentare quel mondo – perché ormai ho cari amici anche nel mondo del whisky, dei distillati e dei liquori in generale – però no, non rientra nei miei progetti. Sono molto più concentrato su altri orizzonti come l’espansione dell’Amaro Marasso, che da settembre viene esportato anche negli Stati Uniti”.
Come si potrebbe raccontare l’anima di questo amaro?
“Partiamo dall’inizio: contiene 16 botaniche che io scelgo e controllo totalmente. Quando viene messa in produzione una batch compro le botaniche, lavoro su infusioni e macerazioni, bilancio la ricetta a seconda della materia prima e invio le spezie già dosate a chi lavora il prodotto. Al contoterzista spetta la gestione della macerazione, dell’acqua e dello zucchero nelle quantità che io decido. Gestisco la ricetta dall’inizio alla fine e ho la possibilità di aggiustarla in continuazione, anche in corsa. Proprio come se possedessi io l’impianto di distillazione. E ne sono fiero, penso faccia la differenza: non è la stessa cosa che rivolgersi a un produttore terzo e chiedergli di produrre un’etichetta dalla A alla Z”.
Quali altri prodotti verranno presentati il 28 ottobre?
“Capparis e Drytto. Anche queste etichette vivono lo stesso iter produttivo dell’Amaro Marasso, interamente studiate da me all’interno del birrificio ed esternalizzate solo per quanto riguarda l’ultimo passaggio. Per Drytto, l’ultimo nato in famiglia, ho voluto lavorare – oltre che sugli elementi base del London Dry, ovvero angelica, coriandolo e ginepro – sulla foglia di un agrume asiatico, il Combava o anche Kaffir Lime, e sul pepe nero. Sono due aromi che mi piacciono molto. A questi tre prodotti base, per ora si affiancheranno Albedo, un distillato di birra, e un prodotto che lancerò il 28 ottobre e sarà una sorpresa totale”.
La domanda è quasi obbligatoria: tutto questo come incontra con la birra?
“In primis logisticamente. I prodotti di Birrificio Italiano Spirits verranno distribuiti solo nei nostri canali classici tradizionali; tutto il lavoro del nuovo brand spirits è legato al mondo birra. Arriveremo nei Pub, al tavolo di chi ama i superalcolici e fare una miscelazione semplice, senza troppi fronzoli ma mai banale. Siamo pragmatici, siamo produttori di birre altamente beverine ma di grande carattere, questa è la filosofia delle nostre birre e continuerà a essere il faro del nostro lavoro negli spirits”.
Quali altre differenze o affinità tra il mondo del birrificio e quello della distillazione?
“Tante, e il ragionamento si può estendere fino alla cucina. In entrambi i casi si tratta di combinare elementi, ingredienti. Nella birra si può spaziare con la fantasia, ne combiniamo di tutti i colori, produciamo blend, invecchiamenti di oltre dieci anni, acidificazioni e molto altro. Si necessita, come nello studio di un distillato, di attenzione alla flessibilità, al gusto e all’equilibrio. È questo che cerchiamo di seguire e sviluppare, seguendo un precetto mi è sempre stato proprio. Mi sento libero da dogmi nello studiare una ricetta, che sia di una birra quanto di un amaro”.
Tra i due mondi, qual è quello che ha delle prospettive più ampie?
“Sono abbastanza in stagnazione, di media, entrambi. E nell’analisi aggiungerei, in equiparazione, anche il mondo del vino che è in sofferenza. Il problema è generale nel settore Ho.re.ca.. Bisogna capire dove vogliono andare e cosa desiderano i consumatori, tanto i nuovi giunti che gli affezionati, con gusti in corso di evoluzione. In questa ottica mi è sempre sembrato molto interessante portare i nostri spirits al mondo dei publican, e spiegargli come questi due universi possano convivere. E debbano, in molti casi, visto che sono sempre di meno i locali che si possono permettere, economicamente, di servire solo birra”.