Così amato da diventare introvabile, il whisky di Campbeltown è un distillato di tenacia e ironia scozzese, con un ambìto fanclub e sette nuovi progetti che abbiamo assaggiato per voi
Il whisky di Springbank Distillery è diventato, meritatamente forse, una sorta di Sacro Graal per gli appassionati. L’ascesa agli occhi del ‘grande pubblico’, per quanto possa essere grande il pubblico dei whisky lovers, è stata rapida e spesso dolorosa. Mentre i bevitori affezionati, che lo tracannavano da anni, hanno sofferto molto. Hanno sofferto innanzitutto perché la propria passione, segreta e quasi carbonara, era diventata di dominio pubblico. E non c’è nulla come vedere quello che credevi essere solo tuo trasformarsi in un oggetto mainstream. Ma hanno sofferto anche perché l’approvvigionamento è diventato difficile, talvolta impossibile, perché la produzione limitata è diventata improvvisamente infinitesimale rispetto alla richiesta.
Springbank è una distilleria che definire “vecchio stile” è poco: basti pensare che è diventata celebre la domanda di un turista asiatico che, dopo aver fatto un tour, ha detto alla guida che sì, grazie, il museo era molto interessante, ma quando sarebbe iniziata la visita alla distilleria vera?
Le scelte
Questo perché lì ogni cosa viene fatta manualmente, è l’unica distilleria scozzese a maltare a pavimento tutto l’orzo che verrà poi fatto fermentare e distillato, i registri sono di carta e compilati, ovviamente, a penna, le warehouse sono quelle tradizionali dunnage, basse e con il pavimento fatto di terra… E questo accade non per una posa da hipster che si riempie la bocca di territorialità tradizione manualità – breaking news: gli hipster non sono arrivati fino a Campbeltown -, e neppure secondo la vulgata romantica per cui si è sempre fatto così.
No, è stata una precisa scelta, fatta nel corso degli anni ’70, quando l’industria dello Scotch galoppava rapidamente verso l’automatizzazione dei processi: Hedley Wright, proprietario della distilleria fino alla sua scomparsa nel 2023, aveva deciso infatti di restituire alla comunità parte del benessere che lo Scotch aveva concesso alla sua famiglia, e di diventare il principale datore di lavoro della città, attraversata nel corso dell’intero dopoguerra da una depressione costante e crescente. E dunque manualità e tradizione perché, banalmente, creano e garantiscono posti di lavoro – e per inciso, donano un carattere unico al whisky. Non migliore, non peggiore: e però unico, questo sì.
La Society
Ma insomma, dicevamo: Springbank è diventato raro, suo malgrado, e spesso oggetto di speculazione da parte di sedicenti investitori, che magari hanno pure l’arroganza di credersi collezionisti – e il collezionismo è una cosa seria, non è trattare le bottiglie come se fossero criptovalute. Le occasioni per assaggiare non solo le edizioni limitate, ma anche gli imbottigliamenti ‘normali’, del core range, si sono ridotte drasticamente: la distilleria ha sì aumentato la produzione per far fronte alla richiesta crescente, ma hey, quello del whisky è un affare a lungo termine, quindi per vedere gli effetti bisognerà aspettare un po’ di anni.
Anche per questa ragione Springbank ha dunque deciso di premiare gli iscritti alla Society, il fan club ufficiale della distilleria, con delle degustazioni speciali in giro per l’Europa: Andrew Wallace, responsabile delle attività di questa affiatata congrega, si è armato di trolley e da qualche settimana si aggira per l’Europa come il celebre spettro marxiano, solo con più alcol. La scorsa settimana abbiamo avuto la fortuna di partecipare alla data italiana, celebrata a Milano presso il Ring 55, e insieme agli altri adepti e a molti appassionati abbiamo potuto assaggiare in anteprima alcune delle prossime release limitate della distilleria.
I ragazzi di Campbeltown
Se ascoltare dal vivo le persone che il whisky lo producono e in distilleria ci lavorano è sempre una bella esperienza, parlare con i ragazzi di Campbeltown restituisce una dimensione davvero peculiare: una città isolata in fondo a una penisola scozzese, a 3 ore di macchina dalla civiltà, e una distilleria abituata ad andare in direzione ostinata e contraria, con orgoglio e ingenuità al contempo. Le storie e i racconti di Andrew sono stati piacevoli e godibilissimi, tra autoironia e gustosa aneddotica, e soprattutto hanno davvero reso con forza icastica l’approccio che rende unico il whisky di Campbeltown.
Basti ricordare la ragione per cui Hedley Wright ha deciso, nel 2004, di aprire una nuova distilleria, Glengyle Distillery, dall’altra parte della strada rispetto a Springbank.
Tre, il numero perfetto
Verso la fine degli anni ’90 la Scotch Whisky Association ha deciso di diffondere una mappa ufficiale delle zone di produzione del whisky scozzese. Dunque Highlands, Speyside, Lowlands, Islay, le isole… ma improvvisamente non c’era più Campbeltown. E Campbeltown non era una città qualsiasi, era stata la capitale del whisky nell’Ottocento. Con oltre 30 distillerie urbane attive e un’economia florida, crollata dopo la Prima Guerra Mondiale. A metà degli anni ’30, restavano solo 2 distillerie attive, Springbank e Glen Scotia, e questa situazione è rimasta cristallizzata fino ad allora.
Hedley Wright, indispettito, chiamò la SWA chiedendo lumi. Gli fu risposto che insomma, due distillerie erano troppo poche per poter definire una regione di produzione, che si accontentassero di stare nelle Highlands. Wright replicò che nelle Lowlands, area immensa se confrontata con Campbeltown, c’erano solo tre distillerie – guarda caso di proprietà di multinazionali. E dunque decise che avrebbe costruito una nuova distilleria, la Glengyle Distillery, così nel caso avrebbero dovuto cancellare anche le Lowlands dalle mappe. Sostanzialmente, ha speso 3 milioni di sterline “to win an argument”, per tenere il punto e averla vinta in un litigio.
I 7 assaggi
I 7 assaggi della serata (non si scherza, a Campbeltown) hanno offerto uno sguardo da insider su alcune delle prossime release. Abbiamo infatti assaggiato “vatting cask samples”, ovvero campioni presi dai barili che vengono usati negli ultimi mesi di maturazione per lasciare che si mescoli assieme il whisky già estratto dai barili ‘originali’.
Ecco il prossimo Springbank 18 anni, per la prima volta interamente invecchiato in botti ex-bourbon, assieme al Kilkerran 16 anni, misto di barili ex-Bourbon, Sherry e Rum. Segue una preview della terza release della Sherrywood Series, maturata per 10 anni i cui ultimi 5 trascorsi in botti ex-Sherry Amontillado. dC’è il ricercatissimo, Local Barley, un 8 anni fatto con orzo coltivato a Campbeltown nelle fattorie di proprietà di Sir Paul McCartney – sì, proprio lui – che uscirà a inizio 2025. Perfino uno Springbank 20 anni invecchiato in botti ex-Porto, imbottigliato in esclusiva per i membri della Society, e chiusura con un Longrow (la versione intensamente torbata di Springbank) a grado pieno, maturato in botti ex-Pinot Noir.
Campbeltown Loch
Una nota solo per l’unico imbottigliamento già disponibile e con una tiratura sufficientemente ampia da poter restare sempre in commercio, servito come “welcome dram”: Campbeltown Loch, un blended malt fatto esclusivamente con whisky di Campbeltown (il 60% è Kilkerran non torbato, il restante è mix di Springbank, Hazelburn e Longrow, con una piccola quota di Glen Scotia), con un rapporto qualità prezzo davvero eccellente.
La Springbank Society ha chiuso le iscrizioni nel 2020, travolta dal numero eccessivo di richieste e dall’impossibilità di accontentare tutti con imbottigliamenti esclusivi: ma la buona notizia è che, secondo Andrew, c’è all’orizzonte la possibilità di riaprirla, non appena verrà trovata la formula corretta per non creare dispiacere e disaffezione negli appassionati cultori del brand. Aspettiamo questo momento, per poter manifestare ancora di più l’amore che si respira in Italia verso una filosofia davvero unica.