Rivoluzione Yuntaku, quando l’amaro giapponese parla italiano

Da Okinawa all’Italia, Benedetta Santinelli ci racconta la nascita e le proprietà del primo amaro “giapponese”

Ci sono viaggi che iniziano dalla fine. Quando dopo aver visitato l’isola di Okinawa si poggia il borsone a terra, si abbracciano i propri cari e si estraggono da una tasca dei semi comprati come souvenir da piantare nell’orto. Anche questa storia inizia così. L’anno è il 2016 e i semi appartengono a uno degli ortaggi più amari al mondo: il Goya. Una sorta di cetriolo verde e bitorzoluto molto usato nella cucina giapponese. 


Yuntaku
Yuntaku Amaro di Goya distribuito – credits Yuntaku

Sono passati otto anni da quel viaggio e nessuno, neanche chi quei semi li ha piantati e visti crescere, poteva immaginare che quel frutto amaro, scoperto ad Okinawa, si sarebbe tradotto in un distillato da 9 mercati import attivi e 7 in via di apertura entro il 2024, Stati Uniti compresi. 

Oggi Benedetta Santinelli, enfant prodige dell’industria beverage in Italia, Trade Marketing Officer per Velier Spa e classificata tra i 100 under30 di Forbes 2024 ci racconta come, con Simone Rachetta, attuale socio e gestore di numerosi locali nelle Marche, hanno dato vita a Yuntaku, il primo amaro di ispirazione giapponese in Italia. Uno dei più rilevanti fast-growing products del segmento. Al punto da spingere l’amaro giapponese che parla italiano a farsi spazio nel nostro paese, creando letteralmente una nuova categoria: l’amaro digestivo etnico.


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Yuntaku Amaro di Goya distribuito – credits Yuntaku

Cosa significa Yuntaku?

Yuntaku nel dialetto colloquiale di Okinawa significa ‘chiacchiere’ racconta Benedetta -. Nasce negli izakaya, le osterie tradizionali dell’isola, dove si usa mangiare insieme e, a fine pasto, gridare all’unisono “Yun-taku!” per chiamare le bevande alcoliche. Un grido che è quasi un brindisi e simboleggia che si è pronti a bere, a chiacchierare, ad aprirsi all’altro. È un po’ quello a cui ci siamo ispirati. Perché anche nella tradizione italiana l’amaro ha esattamente questa funzione: scandire l’attimo tra il fine pasto e l’inizio della convivialità. Un nome e un concetto che si sposava molto bene con la nostra missione”.

Sardo per nascita, italiano per convinzione, battitore libero per natura. Giornalista e gastronomo, autore, ghost writer, avvocato mancato (per fortuna!) e cuoco mancato (ma c’è sempre tempo!). Vivo e “divoro” il mondo per passione prima che per professione. Quattro i punti deboli: le donne che bevono whisky, i cani, la Mamma e i “Paccheri alla Vittorio”. Poche cose mi irritano come “Gioco di consistenze”, rivisitazione, texture e splendida cornice! Un sogno nel cassetto: vedere “enogastronomia ” quale materia di studio nella scuola dell’obbligo… chissà, magari un giorno!

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