Dieci anni fa il locale milanese sdoganò l’accostamento pizza-cocktail, lanciando una moda. Oggi Dry Milano è ancora più contemporanea
Uno si scioglie poco, col suo sguardo serio sotto il cappellino da baseball. L’altro ha un sorriso timido e gentile, giacca abbottonata fino al collo, già pronto a prender posto dietro il bancone. Gli ingredienti diversi che insieme funzionano bene sono una specialità della casa da Dry Milano: due parti cocktail bar, due parti pizzeria, un locale che ha fatto dell’arte dell’abbinamento tra distillati e lievitati un mantra da due lustri. Special Award “Miglior food pairing pizzeria” per Spirito Autoctono La Guida e miglior pizza meneghina (ottava in tutta Italia) per “50 Top Pizza” nel 2023.
Abbinamento di idee
Campano, «ipnotizzato dai dischi di pasta che ruotavano nelle pizzerie di Ischia da bambino» e “figlioccio” di un mito della pizza come Enzo Coccia, Lorenzo Sirabella ha mano libera nella gestione: mica pizza e fichi, insomma (anche se a quella ci arriviamo…). «Ma fino a 20 anni organizzavo eventi, la pizza è la mia seconda vita», svela. Quella giusta. Il suo alter ego è Edris al Malat, papà siriano e mamma veronese, grafico per formazione e cameriere per caso, che ha photoshoppato la sua creatività in un Pantone di alcolici. E «dopo un corso da bartender» ha impacchettato i suoi dosatori per cercare fortuna a Milano dove è finito sotto l’ala formativa di Luca Marcellin e al “nuovo” Dry che ha riaperto nel post-Covid. Insieme hanno rimescolato il menù e la cocktail list del locale e danno vita ad accostamenti inediti.
Una settimana da Dry
Nato dalla costola creativa dello chef stellato Andrea Berton, che nel 2013 ha iniziato il progetto con Simone Lombardi alla pala e Guglielmo Miriello dietro al bancone, Dry è in fretta diventato un polo della Milano da assaggiare, sdoganando l’accostamento pizza-cocktail.
Forno e shaker: l’alba di un’altra mixology
Oggi come dieci anni fa, miscelazione è un concetto che continua a pervadere un luogo dalle tante anime. Banchi bronzei, fari e muri scrostati dipingono atmosfere industriali. Mentre in cucina si impastano tradizioni – dalle pizze ai calzoni più classici – e innovazioni – come focacce al vapore con una marea di farine diverse – nelle sale che vivono dall’aperitivo al dopocena, si siedono famiglie e gruppi di amici. Avventori affezionati e dell’ultim’ora (e si cena fino all’una di notte!). Si mischiano i brindisi e clienti di nazionalità diverse. A proposito di cocktail, «l’idea iniziale di Dry si è evoluta molto da quando sono arrivato, ormai 5 anni fa», dice Sirabella. «L’impronta originaria, data da Guglielmo Miriello, era quella di dare grande spazio ai classici della mixology. Poi si è virato verso una proposta di drink da pasteggio: accompagnamenti perfetti un po’ per tutte le scelte. Con Edris abbiamo fatto un passo avanti, sviluppando un collegamento diretto tra beverage e pizza. Non solo nei sapori, ma anche nell’utilizzo di materie prime simili nelle due preparazioni».
Creatività e sostenibilità
Ed eccolo l’altro principio chiave della proposta: una sostenibilità vera, creativa e non plastificata da buoni propositi. «Cerchiamo di creare una catena sinergica tra bar e cucina che ci permettere di utilizzare appieno le materie prime». Così la polpa di pomodoro condisce la pizza e la sua acqua diventa parte di un signature drink. La stessa cosa succede per la mozzarella con il suo latticello. Gli scarti di agrumi del bar sono ridotti in polvere e insaporiscono i dessert. «Coi baccelli dei piselli ci faccio uno sciroppo che dà una parte dolce al Mojito», aggiunge Edris. O ancora la rapa messa in infusione nel bourbon marca le creazioni liquide, si trasforma in marmellata sulla focaccia abbinata.
Ecco servito un Negroni al fico, realizzato con le bucce, da sorseggiare addentando una “proverbiale” Quattro formaggi con aggiunta di polpa del frutto e noci pecan. «Questo lavoro è un po’ un gioco, il massimo della creatività e una sfida molto stimolante, ma ci facciamo anche un mazzo così. Dietro un cocktail c’è pensiero e tanto contenuto», chiosa Lorenzo.
Tre abbinamenti da provare
Dalle quattro mani escono contrasti e assonanze: dalle paradigmatiche “speziatura con speziatura” ed “effervescenza contro grassezza” ad esperimenti alla ricerca di gusti – e retrogusti – inediti.
L’intramontabile French 75 (gin, zucchero, limone e Champagne) si esalta col “Cubotto con burro, acciuga e limone”, un lievitato integrale cotto al vapore e diviso appunto in cubi e condito con burro aromatizzato con senape e aneto, o con la “Focaccia con vitello tonnato”, con salsa, magatello e polvere di capperi: pairing classiconi al Dry, in lavagna fin dall’apertura. «La pizza richiama la parte “sour”, acidula, del cocktail e lo Champagne utilizzato per la preparazione del drink è lo “sgrassatore” perfetto» per un palato imburrato o spennellato dalla maionese.
Di una intramontabile contemporaneità racconta l’accostamento tra l’inevitabile “pizza provola e pepe” (quella che ogni pizzaiolo, Lorenzo compreso, vi indicherà come la sua prediletta) e il signature cocktail di Edris. «L’Hibiscus Margarita aggiunge alla tequila anche il Mezcal e il lime viene sostituito da un cordiale ottenuto con l’infusione di ibisco e lemongrass di nostra produzione». Fetta e sorso insieme sono un’esplosione di sapore, una partita a tennis tra le affumicature della provola e del distillato, le note pepate, la dolcezza, l’acidità, l’aromaticità.
Per gli appassionati delle eruzioni papillari, lo chef suggerisce anche il matrimonio tra Moscow Mule alla zucca – semi e bucce dell’ortaggio sono macerati nella vodka conferendole note di godereccia dolcezza – con qualche morso di pizza condita con friarielli, ventricina e provola affumicata. Vale a dire pizzicotti amarognoli, piccanti e fumé. «Uno dei miei sogni personali», ammette Mirabella, «è quello di proporre un piccolo omakase di pizza»: fette come pezzi di sushi serviti in successione al bancone, col cliente che si affida al pizzaiolo per un’esperienza gustativa diversa dalle altre. Ça va sans dire con shot spiritosi in abbinamento.