Le distillerie di Casalotto di Mombaruzzo hanno scelto Casa Lago per lanciare il nuovo Amaro Riserva Convento di S. Giovanni
Se Milano è diventata una nuova Camelot di cavalieri professionisti, il design ha sostituito i forzieri d’oro e i bartender sono maghi contemporanei, non è strano che il Salone del Mobile sia stato teatro di una fiaba. Una fiaba moderna popolata di signorotti, monaci, miracoli e pozioni. Con un lieto fine, come tutte le fiabe. La presentazione del nuovo amaro di casa Berta, infatti, ha i contorni della leggenda e delle chanson de geste.
Le distillerie di Casalotto di Mombaruzzo – che forse non per caso portano il nome della regina dei Franchi Bertranda, che filava in attesa di tornare al suo regno – hanno scelto Casa Lago, sede milanese del marchio veneto di arredamento, per lanciare il nuovo Amaro Riserva Convento di S. Giovanni. E un pomeriggio di Fuorisalone si è trasformato in un racconto multisensoriale. Così, ancora inebriati dal finger food piemontese (salsiccia di Bra, peperone alla Monferrina), è facile seguire la narrazione di Giulia Berta, in versione trovatore.
Dove ci sono frati, prima o poi crescono piante
Tutto inizia a Nizza Monferrato, dove nel 1947 la storia delle Distillerie Berta ha avvio. Solo che occorre fare un bel passo indietro, fino al 1428, quando il marchese locale invitò una compagnia di frati francescani a risiedere nelle case dal tetto di paglia intorno alla chiesa di San Giovanni in Lanero.
Nasce un monastero, e dove ci sono frati – si sa – prima o poi crescono piante ed erbe e quasi fisiologicamente iniziano a comparire bottiglie di amaro. Il convento di San Giovanni non fece distinzione, e l’amaro dei frati si guadagna la fama di elisir della felicità. Non solo. Quando due secoli più tardi i Savoia assediano Nizza e la popolazione cerca rifugio dai frati, durante una buia notte di preghiera un lume si accende da solo. Non è esattamente merito dell’amaro, ecco, ma il convento diventa anche simbolo di speranza.
Infusione di erbe in brandy per Amaro Convento di S. Giovanni
Come in ogni favola, passano gli anni. Nell’Ottocento il convento viene chiuso, gli edifici adibiti ad altro. Finché la famiglia Berta – che da decenni contribuisce a far rinascere una zona splendida finita sull’orlo dello spopolamento – decide di acquistare l’antico convento. E di omaggiarne la lunga e avventurosa storia con un amaro.
Siamo di nuovo nel presente, e l’Amaro Convento di S. Giovanni è presente in liquido, vetro e packaging. Tecnicamente, si tratta di un’infusione di erbe in brandy, lo stesso procedimento utilizzato per l’altro amaro già nel core range di Berta, chiamato “Il 28 di via San Nicolao”. La differenza, qui, la fa l’età del brandy Casalotto utilizzato, dato che le botaniche stanno in infusione in brandy di almeno 35 anni. Il risultato riposa poi altri due anni in botte.
Ne esce un amaro moderno, dalla beva molto confortevole, più speziato che amaricante, morbido nonostante la gradazione di tutto rispetto. Un sorso di «piccole cose che rendono felici», come le scorze di arance dolci e amare, la cannella o la china. Che la china renda felici, tra l’altro, sarebbe una grande scoperta e spiegherebbe finalmente il successo del gin tonic.
La ricetta della felicità
Si scherza, ma neanche poi tanto. Perché il tema della presentazione, ovvero “La ricetta della felicità” in fondo si basa su questo concetto. Se la Felicità con la maiuscola è concetto troppo alto e infinito da trattare un venerdì pomeriggio davanti a delle tartine, quella con la minuscola, quella di tutti i giorni, altro non è che una collezione di momenti di piacevolezza. E i drink, come ben sappiamo, a questo servono.
Entra in scena quindi Marco Fara, barman freelance e chimico provetto, che dopo aver sferificato l’Amaro con una soluzione di alginato di sodio e carbonato di calcio, presenta alcuni dei cocktail pensati per esaltare le note del prodotto.
Ecco una libera (e felice) carrellata sui drink: “Convento Sungiovanni” unisce succo di frutta tropicale (mango, ananas) con il bitter e lo sciroppo di lampone e passion fruit, con amaro on top: decisamente estivo; il “Bertino” è un long drink dove amaro e rum bianco incontrano uno sherbet di agrumi e la tonica: rinfrescante; “Old Mombaruzzo” è una rivisitazione dell’Old Fashioned con rye whiskey al burro di cacao, un mix di bitter, amaro e acqua frizzante: intelligente e originale; “Un Americano a Roccanivo” è forse il più pericoloso, con bitter, vermut Gamondi, amaro e soda al pompelmo rosa: crea dipendenza; l’ultimo è “Smoke on the Amaro”, dove l’amaro si unisce al liquore alla ciliegia, al rye e a un preparato a base di caffè, per poi venire affumicato al momento: scenografico, forse un filo troppo carico di ciliegia.
E vissero tutti amari e contenti.