Dalle 4 distillerie di fine ‘800 alle attuali 45, nel segno della tradizione, della territorialità e dell’indipendenza dalle multinazionali
Alfred Barnard è da tutti considerato come il primo whisky blogger – o whisky journalist, se preferite – della storia. Il suo The Whisky Distilleries of United Kingdom, edito nel 1887, raccoglie tutti gli articoli pubblicati sulla Harper’s Gazette tra il 1885 e il 1887. E’ frutto di un progetto incredibilmente ambizioso: visitare ogni distilleria di whisky attiva nel Regno Unito. Facendo un resoconto non solo di tecniche, metodi e numeri relativi alla produzione di ciascuna distilleria, ma offrendo anche un gustoso reportage del viaggio stesso, tra carrozze, battelli, ferrovie e incontri inaspettati. Questo straordinario affresco, condito da immagini preziose per ogni appassionato che abbia vaghezza di approfondire la storia della distillazione in un’epoca cruciale come quella vittoriana, riporta i dettagli di 129 distillerie in Scozia, 29 in Irlanda e 4 in Inghilterra.
Attenzione: 4 in Inghilterra? In effetti, lo stupore è legittimo. Siamo abituati a pensare a Scotch Whisky e Irish Whiskey come sovrani assoluti della distillazione di orzo maltato in terra britannica, e in effetti anche in epoca Vittoriana la produzione di Whisky in Inghilterra era relativamente marginale. Di quelle 4 distillerie, solo due distillavano Single Malt, e tutta la produzione veniva comunque spedita in Scozia, destinata al mercato dei blenders. L’ultima delle 4 a chiudere è stata la Lea Valley Distillery di Londra nel 1903. Quando la Distillers Company Limited, la futura Diageo, decise di spostare in Scozia l’intera produzione. Da allora, gli alambicchi inglesi hanno dimenticato il whisky per oltre un secolo.
L’inversione di rotta
A invertire la rotta nel 2006, anticipando l’ondata di craft distilleries globale, è stata la St. Georges Distillery, aperta nel Norfolk dalla English Whisky Company – un nome piuttosto didascalico per una realtà ormai ampiamente affermata, che utilizza solo orzo locale e che ha saputo scommettere sul concetto di artigianalità e territorialità in anni in cui questi termini non erano di gran moda negli uffici marketing di ogni azienda del food & beverage.
Bisogna dire che tuttora l’attenzione alla territorialità e alla sostenibilità, con uno sguardo alla comunità locale, è forse la caratteristica che più unifica le ormai molti voci che contribuiscono alla categoria dell’English Whisky. Come osserva Abbie Nelson, fondatrice di Cooper King Distillery, “il whisky coinvolge molte industrie – agricoltura, ingegneria, tecnologia, scienza, cibo, ospitalità, solo per citarne alcune – e spesso cattura l’essenza di un luogo, del paesaggio e delle persone che lo abitano. Racconta una storia”.
Unite per la Denominazione di Origine
Oggi sono 45 le distillerie di whisky attive in Inghilterra. Con altre 10 in attesa di avviare la produzione. Sono presenti in ogni regione del paese, dalla Cornovaglia allo Yorkshire, da Londra fino all’estremo Nord, a pochi chilometri dal Vallo di Adriano. Significativamente, sono tutte distillerie indipendenti, nessuna è parte di multinazionali. Nel 2023 è stata creata ufficialmente l’English Whisky Guild, un’associazione di categoria che raccoglie 24 produttori e altre aziende correlate alla produzione di whisky, tutte rigorosamente inglesi. L’obiettivo è quello di ottenere il riconoscimento del Geographical Indication. Ovvero della denominazione di origine, attraverso la definizione di un disciplinare che sappia “creare una cornice che non solo garantisca l’integrità dell’English Whisky, ma che al contempo si allinei con le dinamiche del mercato e […] salvaguardi il futuro dell’industria”.
Sostanzialmente il disciplinare proposto prevede che ogni fase della produzione e maturazione dell’English Whisky avvenga interamente in Inghilterra. A partire dall’utilizzo di cereali inglesi e dalla maturazione all’interno di botti di rovere. In modo molto significativo e interessante, non ci sono cenni a un’età minima (per quanto nessun Single Malt English Whisky dichiarato tale abbia meno di tre anni, esattamente come in Scozia – ma non di solo Single Malt si nutre l’Inghilterra) e anzi, si fa esplicitamente riferimento al fatto che “l’English Whisky è congeniato perché maturi rapidamente, e spesso si concentra su edizioni limitate e piccoli lotti rispetto agli age statements”.
Ritratto delle nuove distillerie
Questo è perfettamente in linea con buona parte delle ‘nuove’ distillerie, che negli ultimi anni stanno aprendo ovunque nel mondo, Scozia compresa. Non è un limite o un difetto, come talora viene considerato, né una scorciatoia nell’accezione deteriore del termine. L’industria dello Scotch, con i suoi quasi due secoli e mezzo di storia ‘ufficiale’, ha dalla sua il privilegio del tempo. Semplificando un poco, buona parte delle scelte strategiche fatte negli ultimi 50 anni sono state prese in nome della produttività e della resa alcolica. Perché poi gli anni trascorsi nelle botti avrebbero ammorbidito ogni asperità o eventuale difetto del distillato bianco, seguendo il motto di “Cask is King”.
Questo è stato possibile perché nel frattempo c’era dell’altro stock di whisky, più vecchio, a maturare – ed è anche la ragione per cui oggi i distillati degli anni ’50 e ’60 sono considerati capolavori, reperti di un’era che oggi non è più.
Le nuove distillerie, invece, non hanno dalla loro questo privilegio. Devono dunque lavorare e concentrarsi su tutto ciò che precede la fase dell’invecchiamento, arrivando a mettere in botte un distillato bianco (un new make) che sia il più aromatico e complesso possibile – il più pronto possibile. Dunque cura verso ogni aspetto della produzione, dalla scelta dei cereali ai tempi di fermentazione, dai lieviti utilizzati, che spesso recuperano la tradizione birraia britannica, all’alimentazione degli alambicchi. L’obiettivo è sempre la complessità. Ma se non si può aspettare che sia il tempo a portarla, si sceglie una strada diversa, non necessariamente migliore o peggiore, semplicemente diversa.
Un panorama variegato
A voler dare uno sguardo dall’alto, oggi il panorama del Whisky Inglese è incredibilmente vario. Forse perfino più di quanto non lo sia lo stesso Scotch. Certamente il Single Malt è il focus principale, e a testimoniare la qualità del liquido sono le vittorie nel 2022 e nel 2024 del premio come World’s Best Single Malt ai World Whiskies Awards. Rispettivamente per The Lakes Distillery e The English Whisky Company.
Artigianale e sostenibile
Ci sono però realtà come la Oxford Artisan Distillery, che da poco è diventata Fielden Distillery, concentrata sulla coltivazione sostenibile di varietali di grani antichi (segale, avena e orzo) con la collaborazione di un archeobotanico locale.
Oppure come la East London Liquor Company, distilleria londinese anch’essa concentrata sulla produzione di Rye Whisky, il cui fondatore Alex Wolpert ha dichiarato che le cose che rendono la categoria dell’English Whisky unica “sono qualità e provenance, ma soprattutto le persone dietro alle distillerie, persone che stanno provocando e spingendo le persone a ripensare cosa il whisky possa essere e da dove possa provenire”. E infatti c’è anche la Dartmoor Distillery, che produce Single Malt utilizzando però un alambicco da Cognac. Oppure la già citata Lakes Distillery, che sempre dalla Francia ha importato e riadattato il concetto di élevage. Spostando il whisky in maturazione di botte in botte, spesso più volte ogni anno, per limare ogni difetto in corso d’opera.
Ci sono realtà come Bimber, microdistilleria nella zona nord ovest di Londra, che produce lotti limitatissimi di single malt all’interno di un garage, usando orzo maltato a pavimento, con fermentazioni lunghe oltre una settimana a tini aperti, due minuscoli alambicchi alimentati a fiamma diretta. La distilleria è già da tempo oggetto delle attenzioni degli appassionati e dei collezionisti di tutto il mondo. C’è la Spirit of Yorkshire Distillery, che produce un Single Malt eccellente partendo dall’esperienza di un birrificio di successo, e c’è la Cotswolds, anch’essa distilleria profondamente legata al territorio, da poco visitata dal nostro Marco Zucchetti (lo trovate nel link seguente).
Tutte queste distillerie puntano su materie prime locali, spesso coltivate direttamente nei campi che circondano le distillerie stesse.
I numeri
Nel 2023, stando ai dati diffusi dall’English Whisky Guild nell’Annual Review da poco pubblicata, le distillerie inglesi hanno attratto oltre 250000 visitatori. Mentre le vendite stanno raggiungendo livelli importanti anche fuori dall’Inghilterra, visto che il 40% delle bottiglie vendute viene esportato in oltre 30 nazioni. Entro la fine dell’anno ci saranno oltre 50000 botti nelle warehouses inglesi, per un valore stimato di oltre 1 miliardo di pounds.
Sarah Burgess, scozzese di nascita e forte di un’esperienza nello Scotch Whisky culminata con il ruolo di Whiskymaker per Macallan, ha deciso di lasciare uno dei brand più forti e affermati del mondo per dirigere la produzione della Lakes Distillery, azienda nel cuore del parco naturale del Lakes District nel nord dell’Inghilterra. Sarah, in un’intervista rilasciata qualche mese fa, ha dichiarato che “al momento il whisky inglese è giovane, fresco e vivace. C‘è molta energia dietro e mi auguro che questa energia continui. Creerà anche molte opportunità per persone a cui questo settore era precluso a causa della geografia. Credo che sarà qualcosa di cui gli inglesi e i britannici andranno sempre più fieri e diventerà una di quelle cose che si identificano con questo Paese”.
Sicuramente siamo agli inizi di questo rinnovato percorso, stiamo assistendo alla definizione di un’identità e di un’industria, e anche l’English Whisky subirà i suoi ups & downs: ma dobbiamo considerare un privilegio il poterlo seguire fin dai suoi primi ambiziosi passi.