Bere consapevolmente con curiosità e cultura ci renderà consumatori migliori, ma l’offerta e il consumo senza limiti non salverà le attività e i loro margini
Sono diversi i modi con cui possiamo provare a mettere insieme qualche pensiero e qualche buon ragionamento sul bere senza dare di noi l’idea di esser diventati, tutto a un tratto, bacchettoni, pesanti, peggio ancora boomer.
Noi di Spirito Autoctono amiamo gli alcolici: siamo convinti abbiano un prezioso valore culturale e antropologico, per la loro innata propensione allo sviluppo della socialità, la capacità di avvicinare idee molto diverse tra loro, generare discussioni, approfondimenti, risvolti e opportunità economiche. Ci incuriosiscono l’approvvigionamento, le caratteristiche e le lavorazioni delle materie prime. Così come i molteplici savoir faire e le diverse professionalità coinvolte nelle produzioni. Oltre al modo in cui spirits, vino e birre raccontano di luoghi e persone, generando identità territoriali uniche e creando connessioni tra storie, tradizioni, vicende umane e imprenditoriali.
Il discorso qualitativo rimane imprescindibile, e il nostro mestiere di insider ed esperti ci offre una posizione privilegiata per scovare talenti del mestiere e bottiglie sublimi, approfondire e divulgare best practices, osservare da vicino le evoluzioni del settore, anticiparne i trend.
Bere senza limiti
È proprio dalla lettura di alcuni fenomeni che recentemente spopolano sul web, di quelli che generano hype che non possiamo esimerci dal dire la nostra. Da qualche tempo il fenomeno degli “All you can drink” impazza tra un numero cospicuo di attività commerciali di città e località turistiche. Si tratta di pratiche che già nel recente passato avevano preso piede, ad esempio, attraverso gli “open bar” o i “free refill”. Oltre a concetti che abbiamo incontrato nella variante gastronomica di contesti come buffet, ristoranti etnici, giropizza, o nelle food challenge.
I clienti pagano un prezzo fisso per poter consumare una quantità illimitata di cibo e/o bevande – generalmente di qualità discutibile. Una pratica divenuta diffusa e spesso utilizzata come strategia per attirare profili solitamente bassospendenti, offrendo loro la possibilità di servirsi e saziarsi liberamente. Nulla di illegale, beninteso. Controlli relativi alle attività di somministrazione di alcolici non sono previsti da nessuna amministrazione locale, se non relativamente all’età del fruitore e all’orario del servizio. Dunque se l’esercente rispetta gli orari e verifica l’età non incorre in nessuna violazione.
Ma è un successo su cui sentiamo di metter giù qualche pensiero, intanto provando ad analizzare i motivi di questa popolarità tra i consumatori. Una delle cause è attribuibile alla crescente domanda da parte della clientela desiderosa di un rapporto quantità-prezzo conveniente e un’esperienza decisamente meno sofisticata, più rilassata e senza restrizioni.
Gli “All You Can Drink” riflettono le tendenze di consumo e i cambiamenti culturali legati alle percezioni sull’alcol. E più in generale la bulimia che sta investendo la società. Con riverberi speculativi che toccano anche altri ambiti come cibo, intrattenimento, fast fashion — dove spesso non c’è più spazio per una fruizione consapevole, intesa come una soglia di attenzione e sensibilizzazione più alte e predisposizioni che privilegiano la qualità piuttosto che la quantità.
Questione di marketing
Club e locali hanno intercettato questo fenomeno, in alcuni casi per differenziarsi dalla concorrenza, attrarre e fidelizzare clienti, iniziando a offrire promozioni “All You Can Drink” come parte del proprio piano di marketing. Includendo mano a mano varietà più ampie di opzioni di bevande, cocktail speciali, shots a basso costo. Non ci sembra questo il modo più idoneo e strategico di progettare e sviluppare business a lungo termine e ottenere margini significativi nelle attività.
Crediamo inoltre che questa nuova abitudine abbia anche delle implicazioni sociali, salutistiche ed economiche devastanti, se parliamo di alcolismo, igiene pubblica, diabete, violenza, dipendenza. Tematiche che meritano e pretendono grande attenzione, anche alla luce dei numerosi, tragici eventi di cronaca con cui dobbiamo fare i conti quotidianamente.
Cosa dice il Rapporto europeo
Sul piano istituzionale e politico qualcosa si sta muovendo da tempo in maniera coordinata a livello europeo. A causa delle preoccupazioni per la sicurezza pubblica e delle responsabilità legali associate al consumo eccessivo di alcol, il nuovo “Rapporto globale su alcol e salute” dell’Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto mettere in evidenza come il consumo di alcol sia un fattore di rischio prevenibile.
Infatti “può causare conseguenze molto gravi come la morte e oltre duecento malattie (tra cui sette tipi di cancro, disturbi neuropsichiatrici, malattie cardiovascolari, cirrosi epatica e diverse malattie infettive). In Europa l’alcol provoca quasi 1 milione di morti ogni anno, contribuendo in modo significativo a lesioni involontarie e non intenzionali. Inoltre, l’alcol è responsabile di un decesso su quattro nella fascia di età compresa tra i 20 e i 24 anni. Influenzando non solo le tendenze demografiche ma rappresentando anche una delle principali cause di anni di vita lavorativa persi e quindi di perdite di sviluppo economico e produttività”.
Nelle nuove strategie, per prevenire decessi e patologie alcol-correlate e diminuire l’impatto sociale e di salute dell’alcol riducendo i costi elevati che la società deve affrontare l’OMS ha chiesto un rinnovato sforzo per incrementare i livelli di consapevolezza sui rischi legati al bere. Nell’evidenza che non esistano livelli sicuri per la salute da consumo di alcol. Le richieste partono da una strategia alcol zero per i minori, una regolamentazione di pubblicità e sponsorizzazioni, informazioni in etichetta. L’OMS, inoltre, ha richiesto anche la diminuzione del marketing e della disponibilità fisica ed economica di tutte le bevande alcoliche tramite tassazione e politica dei prezzi.
La situazione in Italia
Guardiamo alla situazione italiana. Nel 2021 sono 7,7 milioni le persone di età superiore a 11 anni che hanno bevuto quantità di alcol tali da esporre la propria salute a rischio. Circa 3 milioni e mezzo hanno bevuto per ubriacarsi e 750.000 sono consumatori dannosi, hanno cioè consumato alcol provocando un danno alla loro salute a livello fisico o mentale.
Alcuni dei valori riportati sono diminuiti, tornando ai livelli pre-pandemici ma rimangono comunque troppo elevati. Tra i consumatori a rischio, preoccupano soprattutto i giovani (circa 1.370.000 nella fascia di età 11-25 anni, di cui 620.000 minorenni), le donne (circa 2,5 milioni, in crescita, con punte massime di consumatrici a rischio del 29% tra le minorenni 16-17enni) e gli anziani (2,6 milioni, di cui 1 su 3 anziani e quasi 1 su 10 anziane over 65enni sono a rischio: eccedono su base quotidiana e consumano fuori pasto). E a preoccupare sono anche i 3,5 milioni di binge drinker, coloro cioè che bevono proprio allo scopo di ubriacarsi.
Professionisti consapevoli
Da dove partire dunque per la promozione di un servizio di somministrazione consapevole?
Tenendo ferma l’importanza che i clienti rispettino le regole e consumino alcolici in maniera responsabile, si potrebbe lavorare alla formazione di una coscienza collettiva dei professionisti del bere. Perché se un barman serve alcol senza limiti e remore ai suoi avventori, è altrettanto responsabile di ciò che accadrà successivamente ai medesimi clienti. O, ad esempio, coinvolgendo le aziende suggerendo di evitare di sostenere questo tipo di iniziative. Immaginiamo se i principali produttori non regalassero più quantità importanti di prodotto agli esercenti. Come aumenterebbe il costo del medesimo drink e, di conseguenza, come si ridurrebbe il fenomeno?.
Ma è il fattore culturale a restare cruciale: oggi esiste sul mercato una moltitudine di prodotti davvero di altissima qualità, per cui curiosità, studio, ricerca, sperimentazione e un nuovo modo di raccontarli e presentarli possono fare la differenza, definendo l’unicità dei locali e dando la spinta decisiva a una cultura del bere che cambierà in positivo il nostro rapporto con l’alcol, facendoci diventare consumatori migliori. Ognuno deve fare la sua parte, ed essere in prima persona il cambiamento che vogliamo.