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L’ITALIA DEL WHISKY, OLTRE 20 ETICHETTE NEI PROSSIMI ANNI

L’Italia si prepara – e bene – all’arrivo del whisky autoctono

Non c’è solo ginepro a ribollire negli alambicchi. Ciò che l’Italia prepara e sta già coltivando da decenni è una passione profonda per il distillato di malto delle isole atlantiche, che ben presto porterà a una produzione di whisky nostrano tutt’altro che limitata a pochi isolati progetti.

Secondo le elaborazioni di Spirito Autoctono su dati Distillo Expo, sono almeno 20 le distillerie pronte a lanciare almeno un’etichetta di whisky da qui al 2030 e uno su quattro è un progetto nato specificamente per questo scopo. La maggior parte è costituita da produttori storici, in particolare di grappa, che hanno avviato la produzione parallelamente a quelle degli altri distillati prodotti. Tra questi, c’è chi ha già almeno una release di whisky alle spalle e chi tra poco ne lancerà una. E c’è poi un movimento derivante dal mondo della birra, già familiare alla lavorazione dei malti, che genera da un lato l’avvio di nuove distillerie, da un altro una nuova domanda di produzione conto terzi, questa volta di whisky.

Così, una storia d’amore tutta italiana avviata tra gli anni ‘60 e ‘70 dai primi grandi imbottigliatori di Single Malt, prosegue mettendo radici produttive alla chiara ricerca di uno stile di whisky italiano, un po’ come è successo per il Giappone a partire da un secolo fa, con l’apertura della prima distilleria – Yamazaki – nei dintorni di Kyoto, proprio nel 1923.

«L’Italia è il paese dell’acqua buona, dei cereali di qualità, del mare e dell’arte della distillazione in discontinuo – dice Francesco Bruno Fadda, direttore di Spirito Autoctono La Guida – Quattro dei 5 elementi fondamentali per la produzione del whisky. Ci manca solo la storia, la tradizione. Ma anche in quello abbiamo grandi potenzialità, anzi, forse siamo i migliori. Quando si tratta di connettere le mani con l’ingegno non abbiamo rivali. Sono convinto che i tempi siano decisamente maturi perché il Re dei distillati inizi a scrivere una nuova storia, in italiano». E di questo sembrano essere convinti anche oltre confine, dato che all’estero l’attesa per i whisky italiani sembra crescere.



L’entità dell’investimento

Se per chi negli ultimi anni ha deciso di lanciarsi sul gin l’avvio di una distilleria è stato relativamente facile, per coloro che “dal nulla” decidono di avviare una produzione di whisky, passare dal sogno alla realtà prospetta oggi un’operazione più lunga e onerosa.

«L’investimento complessivo per una realtà che ha ambizione di coprire il mercato nazionale e affacciarsi a quello internazionale si attesta intorno ai 2 milioni di euro circa, immobile escluso – dice Claudio Riva, co-fondatore di Distillo Expo assieme a Davide Terziotti – Inoltre, per chi vuole avviare una distilleria di whisky con un progetto che metta coerentemente in conto lo stato attuale del mercato, è necessario prevedere almeno tra le 20mila e le 30mila bottiglie l’anno, oltre ad alambicchi da almeno 600 litri anziché da 150, come è invece sufficiente per il gin», spiega. Non certo una passeggiata, ma un passo che richiede un progetto solido alla base, con visione produttiva, di marketing e di commercializzazione.

Non è solo una questione di soldi, perché col whisky entrano in gioco anche il tempo e l’immobilizzo di capitali. «Una volta che il prodotto è in botte il tempo di attesa ideale è di almeno 5 anni», dice Riva. Nello specifico, da regolamento UE è previsto un “invecchiamento del distillato finale per almeno tre anni in fusti di legno di capacità pari o inferiore a 700 l“. E questo vale tanto in Scozia e Irlanda quanto in Italia. Una ragione in più per partire preparati. Poi, secondo alcuni, anche cinque anni per un whisky suonano un po’ come una quinta elementare.



Puni, il whisky per il whisky

Quando dici whisky italiano il pensiero va diretto a Puni, il primo progetto nato in Italia con l’obiettivo specifico di fare whisky. Fondata nel 2010 dalla famiglia Ebensperger a Glorenza (BZ), ai piedi delle Alpi, la distilleria produce oggi diverse etichette di whisky, tra stabili, limited edition ed edizioni passate, con un’anima che si lega fortemente all’ambiente altoatesino, adottando il concetto di terroir più comunemente utilizzato dal vino. Il clima della Val Venosta, con i suoi inverni rigidi e le estati calde, unito all’acqua proveniente dal Parco Nazionale dello Stelvio offrono un elemento di caratterizzazione unico per il distillato, invecchiato in botti di bourbon, sherry, vino italiano e non solo. I cereali arrivano dall’Italia, dalla Gran Bretagna e dalla Germania e tutto il progetto ha uno slancio fortemente moderno, riscontrabile tanto nel design delle bottiglie, quanto nell’edificio, che fuori terra appare come un cubo in mattoni, disegnato dall’architetto Werner Tscholl per ricordare i fienili tradizionali.

I primi whisky hanno visto la luce nel 2015 ed è di pochi giorni fa l’annuncio di una nuova release, Cubo (la news dal blog degli amici di Whisky Club Italia). Si tratta fin qui dell’edizione con il periodo di invecchiamento più lungo – oltre nove anni in dieci botti da 50 litri -, che sarà disponibile soltanto in vendita diretta presso l’azienda, massimo 2 bottiglie per cliente.

Ma l’onda del distillato di malto è solo all’inizio e sul fronte degli investimenti mirati si preannunciano molte novità – alcune ancora top secret – in arrivo nell’immediato futuro, non solo in questa regione.


Copyright © Puni
Copyright © Puni

 


Pionieri in Alto Adige e novità in arrivo dal Trentino

Anche nel caso delle distillerie storiche occorre soffermarsi in Alto Adige, dove l’eRètico, Italian Single Malt di Psenner, ha già alle spalle più di una release, invecchiato in barrique precedentemente utilizzate per grappa e sherry.

Scendendo lungo il corso dell’Adige, le novità arrivano dal Trentino. A Mezzolombardo Villa de Varda ha appena imbottigliato il proprio whisky e si prepara alla release in settembre. Una passione che si alimentava da anni, tra viaggi in Speyside e botti ex-whisky in cui viene invecchiata la Grappa Gran Riserva 12 Generazioni, le 6 dei Dolzan e le 6 dei Grant della distilleria Glenfarclas. È un blend di amicizia ed esperienze trentino-scozzesi, che nel tempo ha ispirato un progetto nuovo. «Da una parte c’è lo stimolo tecnico, quello degli assaggi fatti assieme per scegliere le botti più adatte per la grappa, dall’altro c’è quello del fascino e dell’atmosfera di quei luoghi», racconta Mauro Dolzan a Spirito Autoctono. Con l’aiuto di un esperto ha iniziato a coltivare orzo a 1.000 metri di quota e adesso finalmente il risultato arriva in bottiglia. «La grappa, più del whisky, da sempre coinvolge tutta la filiera produttiva ed è proprio questo l’approccio che vogliamo portare nella produzione del nostro whisky – spiega Dolzan -. Vogliamo ricercare uno stile completamente italiano, dalle materie prime alle botti». Spoiler: se vi aspettate un’etichetta sola, siate pronti a cambiare idea, ve lo racconteremo presto.

Intanto, poco più a sud, si prepara la Distilleria Fratelli Pisoni di Pergolese. È qui che è arrivata l’autorizzazione n° 1 della provincia di Trento da parte dell’agenzia delle dogane. Dopo un primo avvio di produzione nel 2021, con orzo coltivato e maltato in Italia e acqua delle Dolomiti di Brenta, «il primo whisky sarà pronto per la vendita a marzo 2025», dicono dall’azienda. «Una volta fatta una prima distillazione, il distillato grezzo viene poi sottoposto a una seconda distillazione lenta in alambicco a bagnomaria Tullio Zadra, con colonna di rettifica per concentrare e selezionare alcol ed aromi, andando a ottenere un new make puro e raffinato, pronto per essere mandato in invecchiamento». I legni scelti sono botti di rovere americano tostato.


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I campi di orzo di Villa de Varda – Photo credit Villa de Varda

 


Veneto e whisky, gli invecchiamenti arrivano dal vino

Parlando di spirito, non si può non dare uno sguardo in Veneto. Il primo whisky della regione, il Segretario di Stato, esce un paio di anni fa da una botte ex-Amarone, dopo un lungo riposo nella pancia delle Distillerie Poli di Schiavon. Il nome è dedicato a monsignor Parolin, cittadino del borgo vicentino nominato nel 2013 Segretario di Stato della Santa Sede. In quell’occasione l’allora sindaco Mirella Cogo, chiede a Jacopo Poli di realizzare un distillato speciale, dall’anima locale ma con uno slancio internazionale, un po’ come Parolin che girava il mondo. Viene così presentato nel 2022 il whisky prodotto con puro malto francese, e acqua dalla falda acquifera del monte Grappa. L’invecchiamento si protrae per cinque anni in botti di rovere e almeno un anno in botti che hanno contenuto Amarone della Valpolicella.

Ma c’è altro in cantiere dai produttori storici. Lo scorso novembre Bottega aveva annunciato l’avvio della produzione di whisky. L’area riservata al distillato di malto si colloca all’interno del sito produttivo di Fontanafredda (PN) e ha richiesto un investimento che si aggira intorno ai 3 milioni di euro. «Il whisky rappresenta una vera eccellenza ed è il primo distillato al mondo come consumo. Non potevamo, dopo aver immesso sul mercato grappe, gin e vodka, non pensarci», afferma Sandro Bottega, presidente di Bottega S.p.A., che sottolinea come il valore aggiunto sarà l’italianità delle materie prime e anche dei macchinari. «Avremo il vantaggio di avere a disposizione materie prime, quali luppolo, orzo, grano e cereali, tutte italiane che, come è noto, sono le migliori in assoluto. Materie prime che garantiranno la differenza. Impianti sofisticati, realizzati da aziende italiane e metodi di produzione molto complessi ci consentiranno, dopo 5 anni, di arrivare a una produzione complessiva di 200.000 bottiglie». Il whisky di Bottega sarà un single malt e richiamerà nell’invecchiamento alcuni dei vini di punta prodotti dall’azienda, tra cui l’Amarone della Valpolicella e il Brunello di Montalcino, grazie all’impiego di botti che hanno li precedentemente ospitati. La prima distillazione è prevista nei prossimi mesi.


L’intervista dei colleghi di VinoNews24, al momento del lancio


Bordiga, se il whisky aiuta la montagna

Altra terra di distillatori veraci è il Piemonte, dove la storica firma Bordiga 1888 ha iniziato a sperimentare il distillato di malto con il suo Spiga, invecchiato in botti che hanno contenuto la grappa 18 Lune di Marzadro. «È stato il nostro primo tentativo e visti i successi sul mercato abbiamo deciso di intraprendere il percorso verso il whisky», spiega Manuela Mattallia, responsabile marketing e comunicazione di Bordiga 1888 a Spirito Autoctono. L’invecchiamento del distillato sotto regime doganale per la produzione di whisky inizia alla fine di luglio e tra le idee ci sarebbe quella di impiegare botti che hanno contenuto Marsala o Vermouth, anche se in distilleria si sta ancora valutando.

«Faremo una prova di assaggio dopo i 3 anni previsti per legge e vedremo se sarà il caso di lasciarlo ancora in botte». Anche in questo caso l’obiettivo è creare un prodotto che parli italiano e che, soprattutto, racconti la montagna, a partire dalla segale impiegata per la produzione, coltivata a 2000 metri di quota. «I prati si trovano ad Elva sulle montagne del cuneese, una volta qui piantare la segale era l’unico modo per fare il pane. Sono zone scoscese e abbiamo partecipato alla raccolta in parte con delle vecchie macchine e in parte a mano – racconta la Mattallia. Da sempre la connessione con il territorio fa parte della nostra filosofia e per noi anche questo progetto è un modo per riportare attenzione verso le nostre montagne, che oggi rischiano lo spopolamento».


Copyrig© Bordiga
Al lavoro nei campi di segale di Elva – Photo credit Bordiga

 


Silvio Carta, un whisky unico dalle botti ex-Vernaccia di Oristano

Negli ultimi anni in Sardegna, Silvio Carta non è rimasto a guardare e il suo primo whisky vedrà il vetro in autunno. «Imbottiglieremo presumibilmente dopo la vendemmia e sarà un progetto totalmente a firma Silvio Carta», annuncia Elio Carta, patron della distilleria a Spirito Autoctono, fugando ogni precedente voce sulla produzione del suo whisky. «Il primo uscirà con tre anni e mezzo di invecchiamento e il prossimo con 4 anni. Si tratta di un single malt prodotto con orzo selezionato in Sardegna. Come nostro solito – prosegue Carta – puntiamo a creare un prodotto completamente diverso da qualsiasi cosa si trovi sul mercato. Per questo non invecchiamo in rovere ma in castagno, un legno completamente neutro, in cui per oltre 120 anni ha sostato soltanto Vernaccia di Oristano. È un ripetersi della storia – spiega – noi nasciamo con la Vernaccia, volevamo che questo whisky parlasse della Sardegna e della nostra azienda». È il caso di dirlo, pare proprio che ne berremo delle belle.


Copyright © Silvio Carta
Bottaia – Photo credit Silvio Carta

 


Nannoni, il “whisky di Maremma” che va a ruba

È uscita un paio di mesi fa la seconda produzione di Al Focarile, il “whisky di Maremma” di Priscilla Occhipinti della distilleria Nannoni. Qualche anno fa la prima release, limitata ad alcune botti, stava andando rapidamente esaurita, ed oltre ogni previsione, tanto che non era ancora pronta la release successiva. «Ho dovuto regimentare le vendite – dice la distillatrice – in modo da farmi durare le bottiglie finché quello successivo non avesse compiuto tre anni, altrimenti saremmo rimasti senza». La seconda edizione è uscita in una tiratura di 500-600 bottiglie. «Il distillato è prodotto in impianto discontinuo artigianale e la base è un mix di malti fermentati in Toscana», spiega Occhipinti. «Se volessi le produzioni che ho in invecchiamento sarebbero già tutte vendute – afferma – Alcuni mercati mi avevano chiesto di poter acquistare l’intera release». È proprio la domanda oltre confine ad essere importante. «C’è una bella attesa all’estero. Come il whisky giapponese va di moda in Italia, sembra proprio che il whisky italiano inizi ad andare di moda in altri paesi», aggiunge.

Parallelamente alla produzione della propria etichetta, Nannoni porta avanti la produzione di whisky per conto terzi. «Sono circa una decina le aziende che mi affidano la produzione del loro whisky – dichiara Occhipinti – Questo succede ovviamente ad anni alterni, perché una volta avviato l’invecchiamento ci sono sempre i soliti 3 anni di attesa. Le aziende sono tutte italiane e spesso si tratta di birrifici che vogliono trasformare le loro materie prime». Ma dai birrifici non arriva soltanto la richiesta di whisky, c’è anche chi si rivolge a Nannoni per produrre la propria acquavite di birra, giovane o invecchiata. Tra i clienti recenti, Birra dell’Elba, con il suo distillato di birra Aethalia Botanicals, Birrificio il Forte, Crack Brewery e altri. Una dinamica che introduce la spinta dei birrifici verso il whisky.


Priscilla Occhipinti
Priscilla Occhipinti – Photo credit Distilleria Nannoni

 


In principio fu la birra, dal primo whisky agricolo (sardo) alle future release

Il traguardo del whisky in Italia sembra trovare terreno fertile in un mondo che coi malti ha a che fare da diversi anni, quello della birra.

Arriva infatti dal piccolo birrificio sardo Exmu, il primo whisky agricolo d’Italia. Birrificio e distilleria, Exmu si trova a Bancali, poco lontano da Sassari e qui appena un mese fa è nata la prima etichetta, pensata e invecchiata con cura da Alessandro Cossu e Simona Ruda. Sarebbe più giusto aggiungere “coltivata”, dato che il lavoro parte direttamente in campo con l’orzo. «Facciamo birra per la vendita e birra per la distillazione e utilizziamo solo ingredienti di origine sarda, dall’acqua ai nostri cereali», dice Cossu. L’Italian Single Malt di Exmu, esce in una tiratura limitata di poche centinaia di bottiglie, invecchiata in legno di rovere vergine, mentre in botti ex bourbon sta già invecchiando la prossima release.

Lasciata l’isola dei nuraghi, dalla birra si parte anche in Lombardia. Dopo l’esperienza di mastri birrai, Benedetto Cannatelli e Agostino Arioli, decidono di avviare nel 2020 a Seregno (MB), la distilleria Strada Ferrata. Oggi, sebbene Arioli non ne faccia più parte, il progetto continua sotto la guida di Benedetto Cannatelli e Stefano Zanetto, affiancati da Tommaso Colombo e Marco Giannasso in qualità di responsabile produzione. La prima etichetta di whisky è attesa per il prossimo anno. Intanto Agostino Arioli, dopo la separazione da Strada Ferrata, ha creato Birrificio Italiano Spirits – ramo spiritoso della sua realtà, Birrificio Italiano – portando con sé i New Make che erano fin qui usciti con il brand Strada Ferrata e ha annunciato che pensa già a come realizzare un altro whisky (l’aggiornamento in questo articolo).

Rotolando verso sud, in Campania Prisco Sammartino e Anna Rufino sono al lavoro nelle loro Officine Alkemiche. Proprio lo scorso mese Sammartino aveva dichiarato a Spirito Autoctono l’obiettivo di creare un whisky del sud. Anche in questo caso la distilleria è di recente battesimo e l’esperienza parte anni fa dalla birra, per poi passare dal gin e dagli infusi alcolici, prima di approdare al whisky.



Il giro si chiude – ma solo per il momento – In Puglia, dove Altamura Distilleries non parte dalla birra ma da un progetto che mette al centro un altro prodotto derivato dai cereali, il Pane di Altamura. L’obiettivo del whisky non è mai stato un segreto per Altamura, anche se in questo caso la speranza è che l’azienda apra presto l’annunciata distilleria in loco o che, nell’attesa, la produzione conto terzi si collochi in Italia.

Aggiornato il 31 luglio 2023

Radici toscane tra Mugello e Chianti, adottata in Veneto tra ombre e bacari. Ha il naso sul vino da quando lo ha tolto dai libri (forse le cose si sono anche un po’ intrecciate…) e un passato tra voli intercontinentali, valigiate di bottiglie, Paesi asiatici e degustazioni. Diplomata Ais, approda alla comunicazione come ufficio stampa e poi nella redazione di VinoNews24.it. Viaggia, assaggia, scrive, ascolta molto e parla quando serve (svariate lingue).

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