Il 16 gennaio del 1920 il Congresso degli Stati Uniti approvò il XVIII emendamento facendo entrare in vigore il famigerato Volstead Act, con cui si stabilì il divieto di produrre, vendere e trasportare alcolici su tutto il territorio statunitense. Iniziava così il periodo noto come Proibizionismo, chiamato anche “il nobile esperimento” (The Noble Experiment).
La lotta contro il consumo di alcol era già già stata ingaggiata dai predicatori protestanti agli inizi del XIX secolo, poi portata avanti dalla American society for the promotion of temperance, nata nel 1826. Il primo Stato che si dotò di una legislazione proibizionista fu il Maine, che venne seguito da altri dodici stati nei primi anni del XX secolo. Esisteva, effettivamente, un problema di alcolismo, soprattutto nelle classi operaie, anche i datori di lavoro si organizzarono per promuovere politiche proibizioniste attraverso organizzazioni di industriali come l’American anti-saloon league. Già nel 1915 metà degli Usa era “dry”.
Proibizionismo: le Società per la Sobrietà
Le Società per la Sobrietà e gruppi di natura politica e religiosa, con un moralismo intransigente, promossero massicce campagne propagandistiche per informare la cittadinanza sui danni causati dall’alcol. Il senatore Andrew Volstead, che diede il nome alla legge, alla sua entrata in vigore dichiarò con prosopopea: «I quartieri umili presto apparterranno al passato. Le prigioni e i riformatori resteranno vuoti. Tutti gli uomini cammineranno di nuovo eretti, tutte le donne sorrideranno. Le porte dell’Inferno verranno chiuse per sempre».
Effetti del Proibizionismo
Gli effetti della proibizione furono però molto controversi, generando corruzione, malavita, produzione e contrabbando di alcolici di pessima qualità. Già pochi minuti dopo l’entrata in vigore della legge fu assaltato a Chicago un treno con un carico di whiskey del valore, si racconta, di oltre 100.000 dollari.
Secondo i dati della Corte di Giustizia americana omicidi, furti e rapine aumentarono, il numero degli alcolizzati finì per triplicare e, addirittura, gli arresti per stato di ebbrezza alla guida aumentarono, visto che si rischiava meno a farsi trovare sbronzi con la bottiglia vuota che farsene trovare addosso una appena iniziata.
Il 15 aprile 1919, a qualche mese dell’entrata in vigore della legge a livello nazionale, il Wall Street Journal fece una previsione apocalittica, anche se in tono ironico. Il titolo recitava circa «La letteratura si inaridirà» contenendo passaggi del tipo: «Lo scrittore moderno ha un nuovo problema da affrontare. Il proibizionismo nazionale inaridirà la letteratura. L’eroe del romanzo potrebbe ancora fumare la sua sigaretta, ma quando arriva il momento di prendere da bere dovrà ordinare una soda al cioccolato». Nulla di più sbagliato.
Un nuovo “furore” letterario
Durante il periodo secco furono scritti numerosi capolavori dove i protagonisti consumavano alcol. Scott Fitzgerald scrisse The Great Gatsby (1925); Carl Van Vechten, nel 1926, Nigger Heaven, Claude McKay, due anni dopo, Home to Harlem e William Faulkner, nel 1931, Sanctuary. Diversi studi, tra cui il recente di Susan Cheever Drinking in America: Our Secret History, parlano del rapporto tra letterature e proibizione e tendono a dimostrare che il vietare l’alcol abbia suscitato sugli scrittori un grosso fascino, spesso trasformandoli da bevitori moderati ad alcolisti. Allo stesso modo il Proibizionismo ha stimolato il cinema, sia come fenomeno di costume sia per il tessuto criminale che si era creato. Alcuni titoli celebri come Gli intoccabili o A qualcuno piace caldo, passando alla serie Boardwalk Empire.
I dodici anni di Proibizionismo resero l’importazione più difficoltosa e aumentò, di contro, la produzione di alcol illegale negli Stati Uniti, che passò da 190 a 290 milioni di litri. Prima dell’approvazione della legge, il numero delle fabbriche che producevano bevande alcoliche non era più di quattrocento, mentre sette anni dopo la proibizione il settore del contrabbando vantava ormai più di 80.000 centri di produzione; il solo traffico illegale nel 1926 – stando ai documenti di uno dei procuratori dell’epoca – arrivò a produrre un volume di affari di 3,6 miliardi di dollari. Ovvero una cifra pari all’intero budget federale riferito a quell’anno. L’alcol era acquistato e venduto con ogni mezzo, infiniti furono gli stratagemmi per aggirare la norma. Uno dei più brillanti furono i Wine-bricks: mosto concentrato allo stato solido, simile a un mattone, che poteva essere sciolto in acqua e poi fatto fermentare per trasformarsi in vino, nonostante poi la confezione riportasse furbescamente le istruzioni e le cautele per evitare che questo accadesse. Ovviamente anche il moonshine spopolava mentre le esenzioni ad alcune congregazioni religiose fecero proliferare nuove chiese di dubbia provenienza per aggirare la norma. L’alcol veniva prescritto anche dai medici, famoso è il caso del Laphroaig importato e venduto con ricetta a facoltosi bevitori.
Fu in questo periodo che si svilupparono gli SpeakEasy, oggi tornati di moda: qualunque bottega poteva nascondere un bar clandestino. Un’espressione ancora in voga per altri motivi, il Rum-running, fu una pratica molto famosa: ci si riforniva di rum direttamente delle Antille amministrate dai britannici. La corsa citata nel nome era quella necessaria per sfuggire ai controlli delle autorità costiere. Nel 1930 apparvero sul Washington Post pagine scritte dal famoso contrabbandiere George Cassiday che, denunciando una grande ipocrisia, spiegava come avesse rifornito di alcol quasi tutti i membri del Congresso.
Le elezioni vinte nel 1931 da Franklin Delano Roosevelt, che in campagna elettorale promise di abolire il Proibizionismo, portarono infine a un clima diverso. Nelle prime battute del 1933 si ratificò il Cullen-Harrison Act che consentiva di produrre alcolici a basso grado e, secondo l’aneddotica, Roosevelt festeggiò pronunciando la famosa frase «I think this would be a good time for a beer» (credo sia un ottimo momento per farsi una birra). Il pensiero fu condiviso dalla popolazione, visto che nel primo giorno di entrata in vigore della legge scorse nelle gole degli americani il contenuto di oltre un milione e mezzo di barili di birra.
Verso la fine del 1933 vi fu piena consapevolezza che questi dodici anni fossero stati un esperimento fallito, con risultati opposti sul campo sociale ed economico: da un lato la cancellazione di produttori di vino, liquori e spiriti e di migliaia di posti di lavoro e dall’altro una montagna di denaro finita tra le mani dei criminali. Il 5 dicembre del 1933 venne ratificato il XXI emendamento che chiuse, almeno in parte, quest’era.
Per tornare al cinema, un capolavoro come C’era una volta in America celebra, in una famosa scena, la fine del Proibizionismo con un simbolico funerale. Anche se sono passati quasi 90 anni, gli effetti di quella legge sono ancora parzialmente presenti negli Stati Uniti, dove esistono ancora le dry county ovvero zone dove non si vendono alcolici; in alcuni casi è stato il movimento delle craft distilleries ad abbattere molti di questi divieti ancora in essere, facendo tornare a nascere le distillerie dove mancavano da più di un secolo.
Tra le personalità dell’epoca non poteva esimersi dal giudicare il nobile esperimento, in maniera contundente, un famoso bevitore come Winston Churchill che dichiarò che il Proibizionismo era un affronto all’intera storia dell’umanità. Mai espressione fu più calzante per giudicare il nobile esperimento: un enorme buco nell’acqua.